TFR: definizione e calcolo del Trattamento di Fine Rapporto

Tutte le informazioni necessarie sul TFR (Trattamento Fine Rapporto): scopri la definizione, come funziona, come si calcola e l’attuale quadro normativo.



FTA Online News, 11 Apr 2019 - 10:28

TFR: definizione e significato


Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) è un elemento della retribuzione del lavoratore che viene riconosciuto cumulativamente al termine del rapporto di lavoro. L’INPS lo definisce una “somma che il datore di lavoro deve corrispondere al proprio dipendente alla cessazione del rapporto, corrispondente alla sommatoria delle quote di retribuzione accantonate e rivalutate annualmente”.
Il TFR è anche conosciuto con i termini, meno precisi ma ancora molto diffusi, di liquidazione o buonuscita. In inglese si direbbe retirement allowance.

 

Come funziona il TFR

La disciplina del trattamento di fine rapporto è innanzitutto reperibile nell’articolo 2120 del Codice Civile che fornisce diverse indicazioni importanti.
“In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto”, specifica l’articolo, indicando nella platea dei lavoratori subordinati i destinatari della misura. Sono esclusi dunque dal TFR i lavoratori autonomi.

Nella stessa sede si precisano elementi utili al calcolo del valore del TFR.
Il TFR si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5 (“la quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni”).

La somma ottenuta da questa divisione (o se si preferisce la quota annuale di reddito destinata al trattamento di fine rapporto) è incrementata “su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con l'applicazione di un tasso costituito dall'1,5% in misura fissa e dal 75% dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall'ISTAT (NIC), rispetto al mese di dicembre dell'anno precedente”. In altri termini le somme accantonate per il TFR si rivalutano ogni anno su base composta dell’1,5% più il 75% dell’inflazione dell’anno di riferimento.

 


Come si calcola il TFR

Un esempio può aiutare a comprendere il processo di calcolo del TFR. Prendendo un reddito annuo di 20.940 (il reddito medio dei lavoratori dipendenti nel 2017 secondo dati del Ministero dell’Economia) si ottiene:

TFR= 20.940/13,5=1551,11 euro (versamenti a TFR per un dipendente medio nel 2017).

Nel 2017 l’inflazione Istat è stata dello 0,8% e nel 2018 dell’1,0%.

Per stabilire ad inizio 2019 l’ammontare del TFR del dipendente che ha cominciato a versare i contributi a gennaio 2017 su un reddito lordo di 20.940 euro, quindi, si deve procedere calcolando inizialmente il tasso di rivalutazione annuale. Tale importo si ottiene sommando alla quota fissa dell’1,5%, quella indicizzata all’inflazione (75% dell’inflazione di quell’anno). Ovvero:

Tasso di rivalutazione 2017
1,5 + (0,8*0,75) = 1,5 + 0,6 = 2,1%

Tasso di rivalutazione 2018
1,5 + (1,0*0,75) = 1,5 + 0,75 = 2,25%

Una volta calcolate, queste percentuali vengono applicate a ciascun anno di riferimento.

Per il 2017
1551,11 euro + (1551,11*0,021) = 1551,11 + 32,57 = 1583,68 (TFR a inizio 2018)

Per il 2018 si aggiungeranno altri 1551,11 euro al montante dell’anno precedente (1583,68) e si procederà alla rivalutazione.

1583,68 + 1551,11 = 3049,79

3049,79 + (3049,79*0,0225) = 3049,79 + 68,62 = 3118,41 (Montante del TFR a inizio 2019)


 

TFS e TFR: le differenze

Affine ma non esattamente sovrapponibile al concetto di TFR è quello di TFS, ossia del Trattamento di fine servizio riservato al pubblico impiego per i lavoratori in servizio al 31 dicembre 2000. Esso si articola in indennità di buonuscita, indennità premio di servizio e indennità di anzianità è ha un calcolo di valore retributivo e non contributivo. Dall’inizio del 2001 anche ai dipendenti pubblici si applica la disciplina del TFR.

 

 

Disciplina del TFR: la riforma del 2007

La storia della disciplina del TFR registra una svolta fondamentale con la legge di Stabilità del 2005 (per l’esattezza con il decreto legislativo 5 dicembre 2005 n. 252). La riforma promulgata dal presidente Azeglio Ciampi e promossa dal governo di Silvio Berlusconi (Roberto Maroni, Ministro del lavoro, e Giulio Tremonti, Ministro dell’economia) ha imposto dall’avvio del 2007 un nuovo regime con una fase transitoria di scelta che ha permesso, a quanti volessero, di spostare il TFR dall’azienda a una forma pensionistica complementare (ossia a un fondo previdenziale).
In pratica la previdenza privata, storicamente secondaria in Italia rispetto alla previdenza pubblica, può da allora assorbire, su richiesta esplicita del lavoratore, le nuove quote di TFR (quelle precedenti possono essere vincolate in azienda). Ogni lavoratore subordinato deve, entro sei mesi dalla data di assunzione, decidere se portare in un fondo complementare i contribuiti del proprio TFR o lasciarli in azienda.

Al riguardo va però precisato che, a rigore, da allora le imprese con più di 50 addetti sono tenute a versare i contributi TFR dei dipendenti in un apposito Fondo di Tesoreria dello Stato gestito dall’INPS.

Per le imprese con 50 dipendenti o meno il TFR rimane e si rivaluta nei bilanci dell’azienda (almeno che il lavoratore non decida di trasferire il maturando verso altro gestore) che anzi deve indicare l’ammontare complessivo dei TFR in una specifica voce del passivo dello stato patrimoniale. Questo perché in pratica i TFR sono dei debiti nei confronti dei dipendenti. Sia il TFR in aziende fino a 50 dipendenti, sia quello gestito dall’INPS si rivalutano annualmente con il sistema indicato sopra (1,5%+75% dell’inflazione).


La COVIP e il Sistema della Previdenza Complementare

A tutela dei lavoratori opera inoltre dal 1993 la COmmissione di VIgilanza sui fondi Pensione (COVIP), l’Autorità amministrativa indipendente che vigila sul buon funzionamento del sistema dei fondi pensione a tutela degli aderenti e dei loro risparmi destinati a previdenza complementare. La COVIP controlla anche gli investimenti finanziari e il patrimonio delle Casse professionali private e privatizzate (decreto-legge n. 98 del 6-7-2011 e successivi decreti attuativi), tiene un albo dei fondi pensione e pubblica periodicamente le statistiche di settore.

Alla fine del 2018 l’Autorità calcola che il numero complessivo di posizioni in essere presso le forme pensionistiche complementari sia di 8,747 milioni di italiani; al netto delle uscite, la crescita dall’inizio dell’anno è stata di 448.000 unità (5,4%). A tale numero di posizioni, che include anche quelle relative a coloro che aderiscono contemporaneamente a più forme, corrisponde un totale degli iscritti che può essere stimato in circa 8 milioni di individui.
“Le risorse complessivamente destinate alle prestazioni dalle forme pensionistiche complementari ammontano, a fine anno – spiega la nota statistica della COVIP sul 2018 - a 166,9 miliardi di euro; il dato non tiene conto delle variazioni nel periodo dei fondi pensione preesistenti e dei PIP “vecchi”(Piani Pensionistici Individuali). Il patrimonio dei fondi negoziali ammonta a 50,4 miliardi di euro (+2% a/a). Le risorse accumulate presso i fondi aperti corrispondono a 19,6 miliardi di euro mentre i PIP “nuovi” totalizzano 30,8 miliardi; nel 2018 l’aumento è stato, rispettivamente, del 2,5 e dell’11,5 per cento.


I Risultati


Un contesto complesso per i mercati azionari e obbligazionari nel 2018 si è riflesso sui risultati delle forme pensionistiche complementari con “perdite in conto capitale causate dai ribassi dei corsi azionari e dal rialzo dei rendimenti obbligazionari”. I rendimenti aggregati, al netto dei costi di gestione e della fiscalità, sono stati in media negativi, evidenzia la COVIP.

In particolare i fondi negoziali hanno perso il 2,5%; i fondi aperti il 4,5% e i PIP di ramo III il 6,5 per cento. Per le gestioni separate di ramo I, che contabilizzano le attività a costo storico e non a valori di mercato e i cui rendimenti dipendono in larga parte dal flusso cedolare incassato sui titoli detenuti, il risultato stimato è stato positivo (+1,7%).

Facile dedurre che sarebbe stato più conveniente lasciare alle rivalutazioni automatiche il TFR, ma va detto che la stessa COVIP precisa che tra inizio 2009 e fine 2018 (10 anni), i rendimenti sono risultati pari al +3,7% per i fondi negoziali, al +4,1% per i fondi aperti e al +4% per i PIP di ramo III; al +2,7% per le gestioni separate di ramo I. Nello stesso periodo, la rivalutazione media annua composta del TFR è stata pari al +2%.

 


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