Svalutazione del rublo e andamento del petrolio

FTA Online News, Milano, 15 Dic 2014 - 09:26

Nel corso del 2014 il Rublo si è reso protagonista di una svalutazione particolarmente significativa.

I protagonisti del mercato individuano la causa principale di questa svalutazione nel calo, protrattosi fino a tempi recenti, dei prezzi del petrolio ma anche il fatto che in Russia per effetto delle sanzioni e dell'instabilità geopolitica si è interrotto l'afflusso di capitale straniero. In risposta alla diminuzione del valore del Rublo, la Banca Centrale russa all'inizio di ottobre ha operato degli interventi sul mercato per una somma che ha ormai superato i cinque miliardi di dollari. Per ridurre la domanda di valuta il regolatore vende dollari, al fine di sostenere il corso del Rublo.

L'indebolimento della valuta nazionale torna a vantaggio del governo russo, perché comporta una diminuzione del possibile deficit di bilancio, consentendo di compensare i diminuiti introiti dalla vendita di idrocarburi, che viene regolata in dollari e in euro.  Un Rublo debole, inoltre, crea condizioni più favorevoli per i produttori russi: i prezzi delle importazioni salgono e ciò consente alle imprese russe di aumentare la propria competitività rispetto ai produttori stranieri.

Uno dei modi per sostenere il Rublo è però quello di rendere attraenti gli investimenti in Russia, fermando così il deflusso di capitale: attualmente l'economia russa dipende fortemente dai prezzi del petrolio, dai ritmi della crescita economica e dall'inflazione. Pertanto, la normalizzazione di queste componenti consentirebbe di stabilizzare la moneta. Il calo dei prezzi del petrolio è un indicatore fondamentale, ma per il momento agisce  sulla base delle attese, perché coloro che investono in Russia temono una diminuzione dei ricavi dalle esportazioni. Una ripresa del prezzo del petrolio, favorita, ovviamente, da un taglio della sua produzione, potrebbe dunque arrestare ancor più efficacemente la svalutazione del Rublo.

Tuttavia, la recente decisione da parte dell’Opec di mantenere le quote estrattive a quota 30 milioni di barili al giorno ha determinato un ulteriore calo del prezzo dell’oro nero, sceso per la prima volta da giugno 2010 sotto il livello di 70 dollari al barile. Il prezzo del petrolio negli ultimi mesi aveva già perso il 30% circa: con la sua scelta, l’Opec ha così stabilito che esistono margini per una ulteriore diminuzione dei prezzi. Le conseguenze sono importanti e molteplici: prima fra tutte il fatto che il prezzo del petrolio rimarrà sotto i livelli di questa primavera, a circa 90 dollari, ancora per molto tempo.

Dopo la decisione di non tagliare la produzione di greggio, la moneta russa ha accelerato la sua caduta verso il basso dopo un anno in cui si è svalutata del 40% rispetto all'euro e del 60% rispetto al dollaro. 

Sebbene non faccia parte dell'Opec, la Russia è uno dei principali esportatori di idrocarburi: il petrolio e il gas naturale pesano per il 75% dell'export e producono circa la metà del bilancio della Federazione.

La decisione dell'Opec ha avuto quindi conseguenze disastrose per il Paese: significativo il caso Rosneft, gigante petrolifero russo, che da solo conta il 5% della produzione mondiale di greggio.  Prima della crisi del Rublo, vista la difficoltà nel pagare gli interessi sul debito (55 miliardi di dollari circa), la compagnia petrolifera aveva già chiesto al governo assistenza finanziaria per mitigare l’impatto negativo delle sanzioni occidentali contro il settore energetico russo. Il crollo del prezzo del petrolio rischia dunque di peggiorare ulteriormente la situazione della società.


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