PIL Italia 2021: in crescita del 17,3% nel secondo trimestre

Il secondo trimestre del 2021 conferma una forte ripresa dell’economia italiana dopo lo shock del 2020 e della pandemia



FTA Online News, Milano, 27 Set 2021 - 15:30

L’Istituto di statistica nazionale (Istat) conferma “la crescita sostenuta del Pil” con aumenti del 2,7% su base congiunturale (ovvero del secondo trimestre rispetto al precedente) e del 17,3% su base tendenziale (ossia rispetto al secondo trimestre del 2020, in pieno lockdown).

La ripresa economica, insomma, si sente e l’Italia non è da sola. Nei tre mesi al giugno 2021 e in termini tendenziali gli Stati Uniti hanno recuperato il 12,2%, la Germania il 9,4% e la Francia il 18,7 per cento. Non mancano le incertezze, dall’inflazione Usa che rischia di costringere la Fed a politiche meno espansive, alla chip shortage, la carenza di seminconduttori che paralizza molte produzioni nel mondo a partire dal settore automobilistico. Il quadro macroeconomico è però complessivamente molto solido e l’economia mondiale sembra correre verso il ritorno a una nuova normalità.

 

Il 2020 del Pil italiano e le sue componenti

Nel 2020 il Pil a prezzi di mercato è scivolato a 1.653.577 milioni di euro correnti, con un calo del 7,9% rispetto all’anno precedente. Il Pil in volume (ossia al netto delle variazioni dei prezzi) è sceso dell’8,9%.
I consumi delle famiglie sono diminuiti in volume del 10,7% a 925 miliardi di euro. Hanno sofferto soprattutto le spese per alberghi e ristoranti (-40,6%), per trasporti (-24,5%), per servizi ricreativi e culturali (-22,5%) e per l’abbigliamento (-21,1%).
Gli investimenti fissi lordi hanno perso in volume il 9,2% atterrando a 283 miliardi.
Le esportazioni sono calate del 14% a 471 miliardi.

 

Pil Italia: il secondo trimestre del 2021

Alla fine del secondo trimestre la stima flash dell’Istat restituisce una fotografia diversa. Nei tre mesi il Pil si è attestato a 414 miliardi di euro con un recupero annuale, appunto, del 17,3 per cento.
I consumi finali nazionali (famiglie, istituzioni sociali private, pubblica amministrazione) hanno recuperato quota 325 miliardi di euro, con una crescita del 3,4% sul trimestre precedente e del 10,7% su quello di un anno prima.
Gli investimenti fissi lordi sono a 81,9 miliardi e hanno recuperato il 38,2% sui livelli del secondo trimestre del 2020.
Le esportazioni di beni e servizi zono balzate del 38,4% a 130,8 miliardi, sottraendo le importazioni da 120,7 miliardi di euro (+27,2%), si ottiene il saldo della bilancia commerciale positivo per quei dieci miliardi circa che portano al Pil complessivo.
Se si guarda ai settori in termini tendenziali, l’industria recupera il 37,4% a/a (93 mld), i servizi rimontano del 12,5% (272 mld). Le ore lavorate registrano un aumento del 3,9% sul trimestre precedente. Questi i dati di fine agosto, ma anche il mese di settembre conferma la ripresa, pur aggiungendo o confermando altre incertezze.

 

Pil Italia: le previsioni dell’Ocse

Il 21 settembre l’Ocse ha aggiornato le sue previsioni sull’economia mondiale con un report dal titolo “Mantenendo la ripresa sui binari”. Il quadro generale è positivo: il Pil globale dovrebbe crescere del 5,7% nel 2021 e del 4,5% nel 2022. Ha già superato il livello pre-pandemia, ma ci sono grandi differenze tra le regioni e al loro interno, con gap in termini di produzione e di impiego.

Favorevoli le previsioni per l’Italia, la stima di crescita del Pil per il 2021 viene portata dal 4,5 al 5,9%
Nel 2022 il Bel Paese dovrebbe crescere del 4,1% e nel terzo trimestre dovrebbe essere recuperato il tasso di occupazione del pre pandemia.

 

Pil Italia, le sfide di questa fase

Nel frattempo sfide potenti rimangono in campo. La recrudescenza del Covid 19 a seguito della variante Delta e la minaccia continua dettata dai bassissimi tassi di vaccinazioni nelle economie emergenti rappresentano un’incognita costante.
Già alla fine del 2020 la domanda di semiconduttori aveva superato la capacità produttiva mondiale, nell’autunno del 2021 AlixPartners stima che la chip shortage costerà all’industria globale dell’auto 210 miliardi di dollari di fatturato. Di certo le case automobilistiche mondiali producono a singhiozzi e il problema si è allargato a numerosi altri settori e industrie.
Il balzo della domanda nel dopo-crisi ha colto il sistema globale impreparato, volano i costi dei noli per il trasferimento globale delle merci via mare, volano i prezzi del gas, del petrolio, dei metalli, di tutte le materie prime. La morsa dei costi soffoca la ripresa, persino i cambiamenti climatici influiscono sui prezzi e anche questo è un bel problema. Come se il mondo volesse correre, ma avesse mille stringhe a frenarlo. E intanto intere filiere produttive si inceppano, si ristrutturano, zoppicano e i governi cercano di limitare l’impatto su una popolazione già stremata.

 

Metodi

I conti nazionali rilevati e comunicati dall’Istat seguono il Sistema Europeo dei conti nazionali e regionali (SEC 2010), è dunque armonizzato a livello europeo, partendo dal System of National Accounts (SNA 2008). Le stime annuali dei conti nazionali espresse a prezzi correnti sono ottenute da stime sulle componenti di domanda e di offerta, con approcci in gran parte indipendenti ai due lati dell’economia. Il sistema SEC 2010 adottato dal settembre 2014 ha cambiato diverse cose e suscitato diverse riserve anche trasversali (cioè generali e non nazionali), la più rilevante è stata quella di adottare un principio di esaustività che tenesse conto delle attività economiche indipendentemente dal loro status giuridico, conteggiando dunque nel Pil anche attività illegali come traffico di sostanze stupefacenti, servizi della prostituzione e contrabbando di sigarette o alcol.

 

Quali sono le fonti utilizzate per il calcolo del PIL?

Le più rilevanti per la stima dell’offerta (produzione interna, importazioni) sono quelle censuarie delle imprese: Asia-imprese, registro statistico delle imprese attive, e Frame SBS, sistema informativo sui risultati economici delle imprese. Quest’ultimo esclude agricoltura e intermediazione finanziaria, ma integra e bilancia fonti amministrative, rilevazioni su PMI e sull’SCI (Sistema dei conti delle imprese). Per l’intermediazione finanziaria, l’Istat fa riferimento ai dati delle Autorità di settore (Banca d’Italia, IVASS e Covip). Per il settore primari si affida a varie fonti specifiche, all’indagine RICA-REA, alla rilevazione SPA. Alcuni archivi amministrativi uniti a rilevazioni campionarie forniscono i dati sul settore non-profit. I dati delle amministrazioni pubbliche sono raccolti sia tramite canali centralizzati, che con la rilevazione specifica RIDDCUE. Per le imposte si ricorre all’Agenzia delle Entrate e al Dipartimento delle finanze.

Per il lato economico della domanda (consumi finali, investimenti, esportazioni, consumi intermedi) si procede, per i consumi privati, a indagini sulla spesa delle famiglie. Una parte di beni acquistati dalle famiglie e di investimento si ricava indirettamente con il metodo della disponibilità. Per gli investimenti si fa ricorso anche al Frame SBS e a fonti specifiche (per esempio i registri delle immatricolazioni, i permessi di costruzione e così via). Per gli scambi con l’estero, sia import che export, si fa ricorso alla rilevazione sul commercio di beni dell’Istat (Intrastat ed Extrastat) e ai dati sugli scambi nelle bilancia dei pagamenti della Banca d’Italia. Le stime sugli input di lavoro sono tratte da elaborazioni avanzate di diverse fonti (per esempio le dichiarazioni contributive)

Da segnalare anche che attualmente la costruzione dei conti non produce una stima indipendente del Pil secondo l’approccio del reddito, ossia basandosi sulla somma delle remunerazioni dei fattori produttivi, perché non esistono fonti sufficienti a giungere a una misurazione autonoma del risultato lordo di gestione e del reddito misto. Tali componenti sono stimate in una seconda fase, al momento della compilazione dei conti nazionali per settore istituzionale, come differenza tra il valore aggiunto e gli altri redditi primari distribuiti (soprattutto i redditi da lavoro dipendente) per i quali sono possibili quantificazioni dirette. Le quote di reddito distribuite ai diversi fattori produttivi, risultanti da tale elaborazione, rappresentano un indicatore molto importante dell'affidabilità e della plausibilità economica delle stime del valore aggiunto.

Si ricorda infatti che il Pil a prezzi di mercato, ossia il risultato finale dell’attività di produzione delle unità produttrici residenti, può essere definito in tre modi.

  1. somma del valore aggiunto a prezzi base delle varie branche di attività economica, aumentata delle imposte sui prodotti (compresa l’Iva e le imposte sulle importazioni), al netto dei contributi ai prodotti;
  2. somma degli impieghi finali di beni e servizi (consumi finali e investimenti lordi) da parte delle unità istituzionali residenti, più le esportazioni e meno le importazioni di beni e servizi.
  3. somma dei redditi primari distribuiti dalle unità istituzionali residenti ai fattori produttivi.

Da evidenziare infine che l’Istat comunica i conti nazionali a prezzi di mercato e a valori concatenati. Questo secondo calcolo misura in volume gli aggregati e permette di rappresentare la dinamica delle grandezze economiche al netto delle variazioni dei prezzi. In pratica per ogni aggregato e per ogni anno si calcola il rapporto fra il valore espresso ai prezzi dell’anno precedente (le stime 2018 sono espresse ai prezzi del 2017) e il valore a prezzi correnti dell’anno prima. Gli indici di volume in base mobile così ottenuti sono concatenati tra loro moltiplicandoli consecutivamente a partire da un valore fissato per il primo anno pari a 100 e slittando poi la base all’anno preso come riferimento (attualmente il 2015). Il risultato è un indice di volume concatenato che moltiplicato per il valore corrente relativo all’anno di riferimento (e diviso per 100) determina l‘aggregato a valori concatenate.

 

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