Partecipation exemption (PEX): l’esenzione fiscale delle plusvalenze

FTA Online News, Milano , 04 Mag 2018 - 09:54

La cosiddetta “riforma Tremonti” del 2003 introdusse con il D.lgs. 344/2003 una previsione importante per le imprese relativamente al trattamento fiscale delle plusvalenze e delle minusvalenze da partecipazioni c.d. strategiche. Si tratta della cosiddetta Participation exemption (PEX) ossia del regime delle Plusvalenze esenti di cui all’articolo 87 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (T.U.I.R.).
La PEX prevede che le plusvalenze realizzate nel relativo regime non rientrino tra i ricavi  soggetti a tassazione IRES o, per meglio dire, concorrano in percentuale minima al reddito imponibile dell’impresa.

 

A chi si applica?

Il regime del PEX si applica ai soggetti di cui all’art. 73 del D.P.R. n. 917/1986 (T.U.I.R.), in particolare alle società di capitali (S.p.A.; S.a.p.a.; S.r.l.), alle società cooperative, alle società di mutua assicurazione, alle società in nome collettivo e in accomandita semplice (comprese le società di fatto che abbiano per oggetto l'esercizio di attività commerciali), alle società di armamento, agli enti pubblici e privati diversi dalle società, relativamente all'attività di impresa commerciale da essi esercitata, inclusi i consorzi e le associazioni non riconosciute. Sono quindi escluse le società semplici, gli enti ad esse equiparati, gli investitori istituzionali e le persone fisiche.

 

Come funziona?

In pratica le plusvalenze generate in regime PEX concorrono alla formazione del reddito imponibile del soggetto IRES solo nella misura del 5% con un taglio dunque dell’imponibile fiscale sulla plusvalenza di ben il 95% in base all’articolo 87 del TUIR.
Va specificato che norme specifiche hanno modificato l’articolo 109 del TUIR per neutralizzare il pericolo del cosiddetto dividend washing che permetteva un sostanziale arbitraggio fiscale sui ividendi collegato alla possibilità di impiego delle misuvalenze.
Le minusvalenze generate da azioni in regime PEX non rilevano ai fini IRES, anche nel caso di chiusura della società partecipata, cioè quando le sue quote sono eliminate dall'attivo del bilancio della partecipante con la cancellazione della società dal registro delle imprese (si veda anche art. 101 del TUIR).

 

In quali casi la partecipazione può generare il regime del PEX?

a) Il possesso della partecipazione deve essere ininterrotto “dal primo giorno del dodicesimo mese precedente quello dell’avvenuta cessione considerando cedute per prime le azioni o quote acquisite in data più recente (cosiddetto criterio del LIFO)” […];

 b) le partecipazioni devono essere classificate nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso;

c) la residenza fiscale della società partecipata in uno Stato o territorio diverso da quelli a regime fiscale privilegiato di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’articolo 167, comma 4. Cioè la partecipata non deve essere residente in un paradiso fiscale (deve essere nella cosiddetta “white list”);

d) la società partecipata deve essere un’impresa commerciale secondo la definizione di cui all’articolo 55.

Quanto al requisito d) va detto che per le quotate esso è ritenuto sempre verificato.

 

La logica

La logica delle plusvalenze esenti da imposizione fiscale deriva dalla chiara volontà di consentire i riassetti delle partecipazioni di gruppi societari e holding che sono così liberi di gestire i propri portafogli senza generare carichi fiscali che ne ingesserebbero la gestione, fino a quando le plusvalenze non scendono verso gli azionisti sotto forma di dividendo, e sono pertanto assoggettate a tassazione.
Bisogna altresì considerare che l’introduzione della PEX si inserì nel processo di superamento del precedente regime del credito d’imposta che, soprattutto nei rapporti con l’estero, creava un rischio di una doppia imposizione. Infatti prima dell’introduzione del regime di esenzione della PEX era previsto che una società pagasse l’imposta al momento della produzione del reddito da cessione, quindi il socio della stessa pagava l’imposta percependo gli utili, ma, per evitare la doppia imposizione, otteneva un credito d’imposta pari a quanto già pagato dalla società stessa. In questo passaggio, poiché non tutti gli Stati consentivano di scomputare il credito d’imposta, si creava in pratica una certa difficoltà per i soggetti non residenti, in seguito superata con il nuovo sistema di esenzione.


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