Carry Trade

Una strategia di investimento sui mercati internazionali



FTA Online News, Milano, 31 Ago 2007 - 11:05

Con l’espressione Carry Trade si fa riferimento ad una delle numerose strategie di investimento che è possibile porre in essere sui mercati finanziari internazionali. Il carry trade consiste nel prendere a prestito capitali in una data valuta per investire gli stessi in strumenti finanziari (raramente in beni reali) denominati in altre valute e comunque con un rendimento superiore al costo del finanziamento. Il profitto che si ottiene è appunto pari alla differenza tra rendimento dell’investimento e costo del finanziamento.

Affinché l’operazione di carry trade sia profittevole è necessario che le valute scelte godano di un rapporto pressoché stabile nel tempo e in particolare nel periodo che intercorre tra il momento in cui viene contratto il prestito e quello in cui viene restituito, altrimenti le perdite sul cambio assottiglierebbero i guadagni realizzati fino ad annullarli.

L’investimento è solitamente rivolto a strumenti a basso rischio, come ad esempio i titoli di Stato.

Negli ultimi anni, visti i bassi tassi di interesse giapponesi, è risultato piuttosto conveniente indebitarsi in yen. Gli investimenti effettuati con i capitali presi in prestito in Giappone sono stati soprattutto nei mercati azionari emergenti e nei bond ad alto rendimento di Stati Uniti, Nuova Zelanda, Australia e Regno Unito.

La relativa stabilità del tasso di cambio tra dollaro statunitense e yen degli ultimi anni ha reso profittevoli operazioni di carry trade basate sull’indebitamento in yen, sulla successiva conversione degli yen in valute straniere e sull’investimento dei capitali così ottenuti in titoli di stato o altri strumenti finanziari a rischio nullo che presentavano un rendimento pari almeno al 3%. Scaduto il titolo di stato, il denaro veniva riconvertito dalla moneta straniera in yen e utilizzato per ripagare il debito contratto in Giappone.

Teoricamente quest’operazione non dovrebbe tuttavia essere possibile. Se un’area è caratterizzata da bassi tassi di interesse vuol dire che vi sono minori rischi di deprezzamento della valuta, dato che il tasso di crescita della quantità di moneta è inferiore. Se per contro le altre aree valutarie hanno tassi di interessi maggiori significa che il valore delle altre valute nei confronti di quella con bassi tassi di interesse è destinato a diminuire nel tempo in modo da annullare il differenziale dei tassi.

Questo non è avvenuto però in Giappone, dove la Banca centrale negli ultimi dieci/quindici anni ha ridotto al minimo i tassi ed ha cercato di aumentare la massa monetaria. Per effetto di questa politica lo yen non solo non si è rivalutato nei confronti della altre valute, ma si è addirittura deprezzato. L’indebolimento della valuta asiatica è stato anche determinato dal fatto che l’indebitamento in yen comporta la vendita di questa moneta, che quindi è stata messa sotto pressione da vendite continue, contro l’acquisto di un’altra valuta.

Se queste operazioni vengono portate all’estremo, loro diretta conseguenza è quindi anche la ipervalutazione delle valute acquistate a fronte delle vendite di yen.

Il carry trade sulla valuta nipponica è tuttavia reso sempre più rischioso dalle prospettive di rialzo dei tassi di interesse nel Paese del Sol Levante che potrebbero favorire un repentino recupero dello yen nei confronti delle altre valute  come già accaduto nell'ottobre del 1998 quando un’ondata di avversione al rischio scosse proprio il carry trade sullo yen, favorendo in soli quattro giorni un apprezzamento della valuta nipponica del 15% nei confronti del dollaro statunitense.


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