Capital Gain: significato, tassazione e calcolo della plusvalenza

Guida al Capital Gain o plusvalenza: cosa significa, la tassazione, come si calcola, le differenze con Capital Loss e trattamento fiscale delle plusvalenze



FTA Online News, Milano, 28 Feb 2024 - 12:25

Cosa significa capital gain (o plusvalenza)

Con il termine Capital Gain o guadagno in conto capitale si identifica la differenza, solo nel caso in cui risulti positiva, tra il prezzo di vendita/rimborso di uno strumento finanziario (azioni, warrants, obbligazioni convertibili, opzioni, operazioni a premio ecc.) e il suo prezzo di acquisto/sottoscrizione. Si ha dunque un Capital Gain o una Plusvalenza quando si vende l’azione ad un prezzo superiore a quello di acquisto. Tale misura costituisce soltanto una parte del rendimento totale di un investimento poiché non considera l'eventuale percezione di frutti periodici (i dividendi).

Nella situazione opposta, ossia quando si vende uno strumento finanziario a un prezzo minore del prezzo di acquisto, si ha invece una minusvalenza o capital loss.


Tassazione del capital gain e come si calcola

La tassazione del Capital Gain è generalmente al 26% e viene applicata alle azioni e ai future, ai certificate e a molti altri strumenti come Etf e Fondi Comuni. Anche i dividendi che vengono staccati dalle singole azioni sono tassati al 26%. 

Ci sono però importanti eccezioni: il Capital Gain sui titoli di Stato, ovvero sui BOT, sui BTP, sui CCTeu e così via, beneficia di una tassazione diversa, pari al 12,5%. Anche i titoli emessi da enti pubblici come le regioni, le province ed i comuni, le obbligazioni di organismi internazionali come la World Bank e la BEI e i bond di stati esteri che fanno parte della cosiddetta "white list", vale a dire la lista dei paesi con i quali è attuabile uno scambio di informazioni prevedono una tassazione del 12,5% soltanto sia sulle cedole distribuite, che sulla plusvalenza realizzata in eventuali compravendite fatte in condizioni vantaggiose. Anche la componente “white list” o in titoli di Stato di un ETF o di un Fondo comune viene tassata al 12,5% e non al 26%

 

Capital gain e recupero delle minusvalenze

Il capital gain, ossia la plusvalenza, o il suo opposto, la minusvalenza, che nel caso del diritto italiano permette delle compensazioni fiscali in determinati casi vanno comunque considerati sui redditi diversi. Si tratta della fattispecie prevista dall’articolo 67 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi). 

Si chiamano redditi diversi, perché sono redditi appunto “diversi” dai redditi da capitale definiti invece nell’articolo 44 del TUIR.

La distinzione tra redditi diversi e redditi da capitale è molto importante in questo ambito. Il reddito da capitale è quello in qualche modo considerato certo, come l’interesse su un mutuo, la cedola di un’obbligazione o il dividendo di un’azione. Il reddito diverso è invece incerto per sua natura ed è generato per esempio da una compravendita di azioni in un periodo favorevole, per esempio dopo un trend positivo che ha fatto salire i prezzi di mercato. In questo caso formalmente non c’è dietro il lavoro di arti, professioni, lavoratori, imprese che producono utili e li distribuiscono in stipendi o dividendi, ma solamente la rivalutazione di uno strumento finanziario (nel caso di capital gain su titoli finanziari).


Esempio

Se un investitore compra azioni per € 10.000 e le rivende a € 15.000, la sua plusvalenza (capital gain) è di € 5.000 e sarà tassata al 26%, ossia per € 1.300. Il suo guadagno, al netto delle imposte e delle commissioni di negoziazione e/o tenuta conto, sarà quindi di € 3.700. 

Se invece l’investitore fa l’operazione opposta, quindi registra una minusvalenza, di € 5.000, potrà mettere questa perdita in un cassetto fiscale utilizzabile entro 4 anni.

Cosa vuol dire? Che se riesce in seguito a maturare su altre operazioni di compravendita di azioni delle plusvalenze potrà sottrarre da queste la minusvalenza precedente fino appunto a 5.000 euro. Se quindi l’investitore col cassetto fiscale di 5.000 euro, in seguito, fa un’operazione azionaria un cui guadagna 13.000 mila euro potrà pagare le tasse solo su 8.000 euro. Quindi sottraendo il 26% di 8.000 euro, ossia 2.080 euro, significa che guadagnerà € 10.920 (ossia 13.000-2.080), grazie al recupero delle minusvalenze pregresse. È un guadagno molto maggiore dei 9.620 euro (€13.000 meno il 26% di tasse) che avrebbe guadagnato senza minusvalenze pregresse.

Se però la “minusvalenza” deriva da un dividendo o una cedola, per esempio un’azione compra a 10 € ha staccato un dividendo di 1 €, allora la minusvalenza “fiscale” non si genera, il titolo venduto a 9 nel giorno dello stacco non matura minusvalenze recuperabili. In questo caso anche la tassazione del dividendo/cedola al 26% (12,5% se parliamo di cedole di titoli italiani o white list) non può essere abbattuta da minusvalenze precedenti. In entrambe le situazioni il discrimine è proprio nel fatto che a differenza della plusvalenza da compravendita di azioni, che sono redditi diversi, il dividendo o cedola sono redditi da capitale e quindi non consentono il recupero delle minusvalenze. 

Redditi diversi derivano anche dalla compravendita di future ed ETF, fra le altre cose, e le plusvalenze o capital gain sulla compravendita di strumenti di questo tipo possono essere gestite anche nei processi di recupero di minusvalenze. Al contrario le distribuzioni di fondi ed ETF sono da considerare come redditi da capitale e non possono essere “defiscalizzate” da eventuali minusvalenze pregresse. 

Un caso a parte sono i certificate e le loro distribuzioni che rientrano in ogni caso tra i redditi diversi, sono tassate al 26% e consentono quindi di recuperare le minusvalenze.



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