Bail-in e salvataggi bancari europei

FTA Online News, Milano, 22 Lug 2016 - 16:40

Il Bail-in (letteralmente salvataggio interno) è uno strumento che consente alle autorità di risoluzione di disporre, in determinate condizioni, la riduzione del valore delle azioni e di alcuni crediti o la loro conversione in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca mantenendo la fiducia del mercato. Soci e obbligazionisti non potranno in nessun caso subire perdite maggiori di quelle che sopporterebbero in caso di liquidazione della banca secondo le procedure ordinarie. Si tratta di una novità per il diritto italiano ed europeo introdotta dalla direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive) che ha ridisegnato la gestione delle crisi delle banche e delle imprese di investimento.

In pratica alla liquidazione coatta amministrativa disciplinata dal Testo Unico Bancario si affianca un intervento nelle crisi bancarie che vuole essere meno drammatico e tentare di salvare l’istituto di credito da un fallimento che coinvolgerebbe i dipendenti, i clienti della banca e l’intero tessuto economico e finanziario in cui opera. 

Quando scatta il bail-in

Se dunque una banca è in dissesto o a rischio di dissesto, se si ritiene che altri interventi privati (come aumenti di capitale) o interventi della vigilanza non possano risolvere il problema e se si teme che la liquidazione genere danni al sistema finanziario, ai dipendenti e ai clienti generando un problema di interesse pubblico, si può avviare questa procedura.

In particolare l’autorità di risoluzione, ossia la Banca d’Italia nel Bel Paese, può in tali casi ricorrere a diversi strumenti: può cedere a un privato pezzi della banca, può separare le attività deteriorate in una “banca cattiva” (bad bank) incaricata di gestirne la liquidazione in tempi brevi e può creare una banca ponte (bridge bank) per garantire la continuità delle funzioni più importanti (anche in questo caso in vista di una vendita).
La Banca d’Italia potrà anche applicare il bail-in, ossia, come detto, svalutare azioni o obbligazioni e convertirle in azioni per assorbire perdite e ricapitalizzare la banca. Questo strumento serve a ridurre al massimo l’impatto sui bilanci dello stato di eventuali alternative di rifinanziamento pubblico e vuole trasferire i rischi agli azionisti, ossia a coloro che hanno investito nel capitale di rischio della banca, e agli obbligazionisti, che all’istituto hanno prestato denaro. Un intervento pubblico non è escluso “in circostanze straordinarie per evitare che la crisi di un intermediario abbia gravi ripercussioni sul funzionamento del sistema finanziario nel suo complesso”, ma il bail-in vuole essere soprattutto un “salvataggio interno”.

 

Chi rischia il bail-in

C’è una gerarchia nel trasferimento delle perdite su soci e obbligazionisti: prima pagano gli azionisti (in pratica si pagano le perdite della banca azzerando o riducendo il valore delle loro azioni) e gli altri detentori di titoli di capitale. Se questo non basta si passa ai titolari di obbligazioni subordinate, ai creditori chirografari e persino alle persone fisiche e alle piccole e medie imprese con depositi oltre i 100 mila euro. Infine interviene il fondo di garanzia dei depositi.

 

Chi è escluso dal bail-in

  • I depositi protetti dal sistema di garanzia dei depositi, ossia per esempio i soldi dei correntisti, fino a 100.000 euro;
  • I titolari di passività garantite, compresi i covered bond e altri strumenti garantiti;
  • Le passività derivanti dalla detenzione di beni della clientela o in virtù di una relazione fiduciaria, come ad esempio il contenuto delle cassette di sicurezza o i titoli detenuti in un conto apposite;
  • Le passività interbancarie (ad esclusione dei rapporti infragruppo) con durata originaria inferiore a 7 giorni;
  • Le passività derivanti dalla partecipazione ai sistemi di pagamento con una durata residua inferiore a 7 giorni;
  • I debiti verso i dipendenti, i debiti commerciali e quelli fiscali purché privilegiati dalla normativa fallimentare;
  • Il bail-in in Italia e le quattro banche regionali

Le nuove norme sul bail-in previste dalla direttiva europea BRRD sono entrate in vigore in Italia dal primo gennaio 2016. Nel novembre 2015 in Italia erano già stati varati interventi straordinari per il salvataggio delle quattro banche regionali Banca Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, CariChieti e Cassa di Risparmio di Ferrara. Tutte e quattro le banche erano già commissariate e quindi la Banca d’Italia aveva sostituito i top manager con commissari straordinari, ma questo non è stato sufficiente a evitare il crack. Si sono potuti applicare gli strumenti della banca ponte (bridge bank) e della bad bank, ma azionisti e creditori subordinati hanno subito perdite per 870 milioni di euro, mentre il Fondo di Risoluzione ne ha assorbite altre per circa 1.700 milioni di euro (dati della Banca d’Italia). Sono state scongiurate la liquidazione coatta amministrativa degli istituti e perdite ancora maggiori, ma gli strascichi si sono visti in tutti i territori coinvolti, nella fiducia dei risparmiatori italiani nel sistema bancario, nelle istituzioni di vigilanza (Consob e Banca d’Italia in primis), nel governo. La prima e più importante conseguenza è stata la crescita dell’attenzione al livello di consapevolezza dei risparmiatori: investimenti a rischio erano stati in diversi casi venduti a chi non li comprendeva. La scomparsa negli anni di prospetti probabilistici che avrebbero forse reso più chiaro il rischio agli investitori è stata criticata e ancora oggi il sistema cerca trovare una strada per recuperare una fiducia messa a dura prova.



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