Risolvere il dibattito zona euro non è fondamentale per le azioni

di Fisher Investments Italia

fisher_settembreNon mancano certo le idee su come riformare la zona euro per renderla più resiliente agli shock finanziari; ciò che manca è un consenso sulle soluzioni migliori, e sulla loro fattibilità. Lo scorso settembre il presidente francese Emmanuel Macron ha fatto un appello per cambiare radicalmente la struttura della valuta del blocco, compreso un budget comune. Altri proponenti dall’integrazione hanno consigliato di emettere un debito comune della zona euro e di creare un prestatore permanente come ultima spiaggia per banche e governi in difficoltà. Invece, un accordo siglato il 19 giugno tra Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel —che si è opposta alle proposte più ambiziose— non contiene che vaghi programmi per un budget e un fondo d’emergenza di dimensioni da definire. Nel momento in cui scriviamo, Francia e Germania prevedono di svelare questi programmi durante il vertice dell’UE a fine giugno. Che gli altri paesi sottoscrivano o meno, la nostra lettura dei media finanziari indica che molti temono la cautela della Merkel; ciò suggerirebbe una mancata risoluzione di gravi problemi strutturali che condannerebbe l’Europa a trascinarsi da una crisi all’altra. Ma noi non pensiamo che la zona euro debba abbracciare una maggiore integrazione fiscale a breve, per far continuare il presente mercato in rialzo; al contrario, problemi strutturali a lungo termine come questi tendono ad evolversi troppo lentamente per avere effetti significativi sui mercati.

Secondo noi, puntare il dito contro Angela Merkel per giustificare la timidezza o lo stallo di queste riforme significa non aver compreso quanto queste questioni siano spinose. Gli ostacoli abbondano: il diritto tedesco vieta la cessione di imposizione fiscale e gestione delle spese ad un ente internazionale (che potrebbe essere implicato nella questione del budget comune). Per di più, dato che l’opinione pubblica sembra essere contraria, anche lo scarno programma dell’accordo di compromesso potrebbe essere oggetto di polemiche. Inoltre, i parlamenti della zona euro sembrano piuttosto in stallo al momento, quindi pensiamo che eventuali grandi cambiamenti alle istituzioni dell’Unione si possano verificare soltanto a passo di lumaca. Non pensiamo però che questa situazione sia necessariamente negativa; se per alcuni le idee su cui non si trova consenso sono positive, possono comunque celare conseguenze impreviste che, stando alla nostra ricerca, spesso spiacciono ai mercati. Un graduale processo caratterizzato dai compromessi potrebbe, a nostro avviso, smorzare il rischio.

Più in generale, anche se la nostra opinione degli articoli che oggi occupano i media indica che per molti le proposte di Macron e altri sono fondamentali per proteggere il futuro della zona euro, pensiamo che si stia ancora combattendo la guerra precedente. Durante la crisi finanziaria europea del 2010-2012 la questione di come affrontare il debito sovrano e le banche in fallimento era stata amplificata e da allora il dibattito non si è mai interrotto. Siamo del parere che sia normale nei periodi post-crisi, quando generalmente i politici si concentrano sulle debolezze che hanno portato alla luce. Nessuno vuole essere fregato due volte. Entrambe le importanti leggi finanziarie approvate negli Stati Uniti negli ultimi 20 anni sono state in gran parte reazioni a eventi recenti, ovvero rispettivamente uno scandalo nella contabilità aziendale di inizio anni 2000 e la crisi finanziaria mondiale. Ma, pur sembrando lungimiranti, queste leggi ci appaiono troppo fissate su ciò che i politici pensano che sia accaduto. Crediamo che stia succedendo la stessa cosa con gli sforzi d’integrazione della zona euro: ci sembra un impegno fondamentalmente ancorato al passato, in particolare se consideriamo che è impossibile sapere ora quando emergerà la prossima crisi. Il tentativo di mettere una pezza alle cause dell’ultima crisi potrebbe essere utile, ma non pensiamo che sia una questione scottante per l’economia o i mercati della zona euro oggi come oggi.

Molte proposte d’integrazione sembrano implicare la riduzione dei danni di un’eventuale prossima crisi finanziaria dopo che si è verificata, cosa che risulta largamente irrilevante per le azioni ad oggi, secondo noi. I mercati che sono nel pieno di un’espansione probabilmente non si curano di come i governi possano o meno reagire alla fine di questo periodo favorevole. Pensiamo che i fondamentali economici che, per la zona euro, sembrano largamente positivi, siano molto più importanti. Inoltre, siamo certi che le riforme pensate per evitare crisi future stiano in un certo senso cercando di fare l'impossibile. Secondo noi nessuna riforma è davvero in grado di eliminare il ciclo commerciale, cioè la tendenza delle economie a vivere periodi successivi di espansione e contrazione nel tempo, e per questo abbiamo la convinzione che, anche se i paesi membri si mettessero d’accordo sul cambiamento della struttura della zona euro, l’economia del blocco dovrebbe ad un certo punto fare i conti con un’altra recessione —e poi un’altra più avanti, ecc.—. Ma i mercati azionari vivono da sempre con questa consapevolezza e hanno comunque sempre saputo crescere, secondo noi. Perché mai le cose dovrebbero cambiare ora?

Un’analisi attenta dell’evoluzione dei mercati indica che le questioni strutturali (come il dibattito su un budget e un debito condivisi a livello della zona euro) non tendono a spostare concretamente le azioni, che si concentrano principalmente sulle probabilità dei prossimi 3 – 30 mesi e non su quelle lontane diversi anni o decenni. L’esperienza stessa della zona euro secondo noi lo dimostra: la crescita trimestrale del PIL della zona euro (una misura dell’attività economica) è stata positiva dagli ultimi cinque anni fino al 1° trimestre 2018.[i] Le azioni hanno attraversato periodi di volatilità ma sono comunque cresciute malgrado i timori ricorrenti dello spettro di un ritorno della crisi.[ii] Quindi, dal punto di vista delle azioni della zona euro, non crediamo che le dichiarazioni della cancelleria tedesca cambino nulla: la lenta altalena proseguirà. Per questo pensiamo che fattori ciclici come i fondamentali economici, gli sviluppi politici e il sentiment degli investitori rivestano comunque un’importanza maggiore e continueranno a dominare, anche se i politici europei cercano di portare avanti (o bloccare) le riforme della zona euro. Se i mercati non si lasciano scomporre dal percorso d’integrazione della zona euro, ci sentiamo di consigliare agli investitori di non lasciarsi scomporre a loro volta.

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[i] Fonte: Eurostat, al 13/06/2018.

[ii] Fonte: FactSet, al 15/06/2018. L’indice MSCI dell’Unione economica e monetaria europea con dividendi netti è salito del 63,7% in euro tra il 31/3/2013 e il 31/3/2018.

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