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L’opinione di Fisher Investments Italia sui rincari energetici e l’evoluzione economica

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Ci aspetta un inverno difficile. È quanto ripetuto nelle ultime settimane dai commenti finanziari in tutto il mondo, alla luce di un autunno di rincari sul gas naturale e sull’elettricità in Europa e nel Regno Unito, e delle poche riserve in vista dell'inverno, quando il fabbisogno di riscaldamento generalmente determina un maggiore consumo di elettricità. Molti esperti avvertono che i rincari non colpiranno soltanto le finanze familiari ma produrranno effetti negativi anche sulla produzione economica. Per provarlo, molti ricordano quanto accaduto nel Regno Unito a metà degli anni ‘70, quando la settimana lavorativa era stata ridotta a soli tre giorni per razionare l’elettricità, e quanto ciò fosse stato negativo per l’economia. Altri citano invece l’impatto dei rincari sui costi della manifattura e paventano che le fabbriche di Europa e Regno Unito saranno costrette a operare dei tagli. Inoltre, dopo la chiusura di due stabilimenti di fertilizzanti nel Regno Unito a settembre, molti esperti hanno avvertito che fosse solo la punta dell’iceberg. Secondo Fisher Investments Italia è senz’altro ragionevole pensare che i rincari nell’elettricità abbiano un effetto sull’economia, ma siamo dell’idea che alcuni segnali indichino che probabilmente non sarà così rilevante come molti si aspettano. Le economie di Regno Unito ed Europa si sono ampiamente evolute nel corso degli anni generando più crescita con meno consumo di elettricità, il che a nostro avviso fornisce loro una buona difesa poco considerata per contrastare l’aumento dei prezzi.

Nell’osservare la storia economica mondiale e considerando molte altre ricerche, abbiamo riscontrato che i Paesi tendono a seguire tendenze omogenee man mano che si sviluppano: l’agricoltura lascia il passo alla manifattura, e poi ai servizi, fino ad arrivare all’alta tecnologia. Il Regno Unito è stata la prima economia a evolvere in questo senso, grazie alla rivoluzione industriale del XIX° secolo. Subito dopo, è stata la volta degli Stati Uniti, che proprio come il Regno Unito, ha sviluppato un’economia basata sull’industria per tutta la prima metà del XX° secolo, pur con le interruzioni delle attività dovute alle due guerre mondiali. Tuttavia, dalle nostre osservazioni storiche emerge che né la Crisi del Canale di Suez, né gli attacchi sul territorio britannico durante la Seconda Guerra Mondiale sono stati in grado di intaccare la forte capacità industriale britannica.

Nella seconda metà del XX° secolo il settore dei servizi ha preso sempre più piede: finanza, vendite al dettaglio, viaggi, tempo libero e moltissimi altri servizi si sono moltiplicati. Eppure negli anni ‘70, quando il mondo ha vissuto la crisi energetica causata dall’embargo del petrolio arabo, il settore manifatturiero rivestiva ancora un ruolo molto importante nell’economia del Paese. All’inizio degli anni ‘70 la manifattura rappresentava oltre un quarto del valore aggiunto lordo (VAL, una delle misurazioni della produzione economica nazionale, di cui fa parte anche il prodotto interno lordo, PIL)[i]. In genere, è necessaria più energia in una fabbrica e nelle sue linee di produzione, piuttosto che per accendere le luci di un negozio o i computer di una banca, il che ci trova d’accordo con quanti sostengono che il settore manifatturiero sia più sensibile ai rincari dei prezzi dell’elettricità rispetto ai servizi. Da questo punto di vista, l’economia britannica aveva un grado di vulnerabilità piuttosto elevato negli anni ’70.

Da allora però molto è cambiato. Nel 2019, prima dei lockdown (non includiamo gli ultimi dati per evitare ogni sbilanciamento derivante dalla pandemia) la manifattura rappresentava soltanto il 9,7% del VAL del Paese[ii]. I servizi, tuttavia, erano a quota 79,3%, ampiamente sopra il 59,1% del 1970[iii]. È importante notare che ci stiamo basando sui dati diffusi dalle Nazioni Unite. Dati provenienti dalla Banca Mondiale che risalgono alla metà degli anni ‘90 differiscono a causa delle diverse metodologie utilizzate dalle diverse agenzie. A nostro avviso, nessuna fonte è migliore delle altre e Fisher Investments Italia utilizza i dati delle Nazioni Unite esclusivamente poiché i dati inerenti la manifattura risalgono a periodi più lontani nel tempo per tutti i maggiori Paesi. Ad ogni modo, quale che sia la fonte esaminata, tutte mostrano come i servizi abbiano guadagnato un ruolo privilegiato negli ultimi 50 anni e tutte offrono misurazioni simili in termini di VAL totale e PIL.

I dati ufficiali sul consumo elettrico risalgono appena al 1990 quando l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) ha iniziato a raccoglierli. A quel tempo, l’economia del Regno Unito era ancora basata sul comparto manifatturiero per il 18,4% e per il 68,1% sui servizi[iv]. Per ogni terawatt orario (TWh) di elettricità utilizzato quell’anno, il Paese aveva generato un valore per il PIL pari a 5,7 miliardi di dollari (in USD del 2015, valuta utilizzata come base comune per l’analisi dei risultati dei Paesi in esame)[v]. Nel 2019 (l’ultimo anno con dati disponibili) il dato salì vertiginosamente a 9,7 milioni di dollari di produzione (corretta per l'inflazione) per TWh di elettricità impiegata[vi]. In termini assoluti, il consumo di elettricità nel Regno Unito è sceso dal 2005 mentre la produzione economica è cresciuta[vii]. Dal nostro punto di vista, ciò è un segnale molto forte del fatto che il Regno Unito ha dalla sua parte una capacità di difesa rispetto alle carenze energetiche decisamente più ampia di quanto non si creda.

Tendenze simili, seppur con valori diversi, sono evidenti nelle quattro maggiori economie dell’Eurozona: Germania, Francia, Italia e Spagna. La Figura 1 mostra l’evoluzione del settore manifatturiero in ciascuna di queste economie dal 1970. In tutti e quattro i Paesi, la manifattura è meno rilevante da un punto di vista economico rispetto al 1970, sebbene le traiettorie siano piuttosto differenti, con una divergenza piuttosto marcata a partire dalla crisi finanziaria globale del 2008-2009 e dalla crisi del debito dell’Eurozona all’inizio degli anni 2010. Ciò si è tradotto in un grado non omogeneo del miglioramento dell’efficienza energetica, come mostra la Figura 2, in cui vediamo Italia e Spagna coglierne i vantaggi più in ritardo e più marginalmente rispetto a Francia e Germania. Secondo Fisher Investments Italia, ciò dipende probabilmente dal fatto che questi Paesi hanno iniziato e finito il periodo con un settore manifatturiero che contava largamente sulla produzione nazionale.

 

Figura 1: Il peso economico della manifattura cala nel tempo

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Fonte: Ufficio di statistica delle Nazioni Unite, al 22/09/2021. Valore aggiunto della manifattura in percentuale del valore aggiunto lordo in Francia, Germania, Italia e Spagna, dal 1970 al 2019.

 

Figura 2: Efficienza energetica

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Fonte: Agenzia internazionale dell’energia (IEA) e Ufficio di Statistica delle Nazioni Unite, al 23/09/2021. Analisi a cadenza quinquennale e del 2019 per via dei dati disponibili da parte dell’IEA.

 

In base a questi dati, crediamo che l’Eurozona probabilmente abbia la stessa capacità di resilienza del Regno Unito, inclusa la Germania, che mantiene la sua reputazione di potenza energetica europea. Se i rincari dell’energia influiranno davvero sulla produzione, la capacità complessiva dei servizi di affrontare meglio la tempesta probabilmente offre un elemento di bilanciamento sottovalutato. Alla luce di ciò, Fisher Investments Italia valuta altamente probabile che i risultati economici continueranno a superare le magre aspettative, generando un positivo effetto sorpresa sui mercati azionari.

 

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Il presente documento contiene le opinioni generali di Fisher Investments Italia e Fisher Investments Europe e non deve essere considerato alla stregua di una consulenza personalizzata in materia di investimento o di natura fiscale, né tantomeno come un riflesso delle performance dei clienti. Non è possibile garantire che Fisher Investments Italia o Fisher Investments Europe manterrà queste opinioni, che potrebbero cambiare in qualsiasi momento in base a nuove informazioni, analisi o riconsiderazioni. Nulla nel presente deve essere inteso come una raccomandazione o una previsione delle condizioni di mercato. Al contrario, è da intendersi come l’illustrazione di una tesi. Le condizioni di mercato attuali e quelle future potrebbero presentare numerose differenze rispetto a quelle qui illustrate. Inoltre, non si forniscono garanzie in merito all'accuratezza delle ipotesi formulate negli esempi qui presenti. L’investimento nei mercati finanziari comporta il rischio di perdita e non è possibile garantire il rimborso totale o parziale del capitale investito. Le performance passate non sono una garanzia né un indicatore affidabile di performance future. Il valore degli investimenti e i relativi rendimenti sono soggetti alle fluttuazioni dei mercati finanziari mondiali e dei tassi di cambio internazionali.



[i] Fonte: Ufficio di statistica delle Nazioni Unite, al 22/09/2021.

[ii] Ibid.

[iii] Ibid.

[iv] Ibid.

[v] Fonte: Agenzia internazionale dell’energia (IEA) e Ufficio di Statistica delle Nazioni Unite, al 23/09/2021.

[vi] Ibid.

[vii] Ibid.

 


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