La politica può influenzare i mercati, ma non come ci si aspetterebbe

 Di Fisher Investments Italia

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Disclaimer: Il nostro commento politico è imparziale per sua natura e pensiamo che un'ideologia di parte rappresenti un grave errore d’investimento. Non preferiamo nessun partito, né alcuna ideologia politica, e valutiamo gli sviluppi politici solo ed esclusivamente per il loro potenziale impatto sul mercato.

Parlando di politica si rischia di mettere il dito sulla piaga. Se poi si aggiunge la variante soldi è facilissimo attirare l’attenzione. Secondo noi, spesso i media finanziari fomentano la frenesia politica, risaltando personalità, discorsi ed eventi come se fossero elementi cruciali per i mercati. I giornali mettono in prima pagina politici che proclamano numeri esorbitanti, dando più spazio del normale a debito, deficit, surplus, spesa, prestiti e idee grandiose, tra le altre cose, alimentando i timori degli investitori. Riteniamo che la politica abbia una certa influenza sui mercati, ma non con l'ossessione per partiti e uomini politici che molto spesso mostrano commentatori e investitori. Al contrario, pensiamo che ciò che conta sia la capacità del mondo politico (o la sua incapacità) di apportare cambiamenti reali.

Parlando di media e della nostra esperienza di collaborazione con gli investitori, abbiamo notato che molti guardano alla politica e al suo impatto sui mercati in modo poco oggettivo nei confronti del proprio paese. Gli investitori si lasciano abbindolare dalle personalità, dalle capacità oratorie o da uno stile unico che potrebbe far sembrare un certo politico come la scelta migliore. Molti pensano che alcuni partiti politici, ideologie e politiche siano intrinsecamente positivi o negativi per i mercati e accettano la nozione che un partito sia “pro-aziende”, mentre un altro è l’opposto. Tuttavia, in questa confusione si perde di vista che i politici sono esperti di marketing che giocano con le emozioni e spacciano alcune opinioni o secondi fini per poter avanzare nella propria carriera politica. Ciò che propongono non è necessariamente ciò che poi faranno sul serio, ma piuttosto ciò che credono possa far guadagnare loro più voti. Molti di loro, anche piuttosto famosi, hanno cambiato completamente le proprie opinioni negli anni. Dai politici greci anti-austerità che appoggiano tagli e privatizzazioni a presidenti americani che invertono la rotta rispetto alle promesse fiscali, la storia è piena di esempi di promesse mancate.

Pensiamo che ai mercati non importino le personalità e non abbiamo nessuna preferenza dimostrabile per nessun partito né ideologia politica. Non esiste un leader politico o un governo intrinsecamente benefico per il mercato. I governi di entrambe le estremità dello spettro politico hanno la stessa capacità di promulgare politiche che il mercato apprezza o disprezza. Tradizionalmente, gli investitori pensano che i partiti della destra politica (o del centro-destra) siano pro-mercato, mentre quelli di sinistra (o centro-sinistra) non lo siano; anche se questi appellativi sono sempre più difficili da determinare, considerando che il populismo globale non si inserisce in queste definizioni. Prendiamo per esempio gli Stati Uniti, per via della sua lunga storia di rendimenti azionari. Molti investitori ritengono che il partito repubblicano sia meglio per le azioni rispetto al partito democratico. Eppure, dal 1926 in poi l’S&P 500 ha registrato una media del 14,8% in anni di presidenza democratica, contro l’8,8% per la presidenza repubblicana.[i] Non vogliamo dire che i democratici siano decisamente meglio per i mercati azionari, ma piuttosto sfatare la nozione diffusa che un dato partito sia più benefico per l’attività economica. In tutta Europa e nel mondo, entrambe le parti hanno governato in mercati in rialzo e in terribili mercati al ribasso. Non c’è modo di decretare quale partito giovi maggiormente ai mercati e non esiste nemmeno una controprova, nessun “metodo di verifica”, in termini scientifici. Non è quindi possibile sapere chiaramente che cosa sarebbe successo ai mercati se al potere fosse arrivato un altro partito o un altro politico. Nel mondo occidentale è il settore privato a trainare l’attività economica e le aziende sono in genere molto adattabili e resilienti. È difficile a volte capire se le misure adottate dal governo aiuteranno o ostacoleranno l’economia, anche quelle che teoricamente dovrebbero aiutare. Inoltre, un solo partito non guida i principali governi e per questo, anche potendo delineare chiaramente l'impatto dei politici, non sempre è palese a chi spetti il merito (o la colpa) di come si comporta il mercato.

Seppure i partiti e le personalità non siano fondamentali per i mercati, ciò non significa che la politica non abbia un impatto. Ciò che più conta nel mondo sviluppato è il rischio legislativo. Quante possibilità esistono che un governo, a prescindere dal partito, approvi leggi con il potenziale di alterare i diritti di proprietà, e di scoraggiare che si corrano rischi danneggiando i mercati? Poiché leggi radicali possono esacerbare l’avversione al rischio dei mercati, pensiamo che lo stallo (politici che generalmente non trovano un accordo e quindi non possono far passare leggi) sia in linea di massima positivo, perché riduce la possibilità di approvare leggi estreme.

A volte lo stallo significa che i partiti all’opposizione non fanno che bloccare il programma politico del governo. Se un governo ha una maggioranza risicata, o è un governo di minoranza, può avere difficoltà nel promulgare leggi rilevanti. Ma lo stallo si verifica anche nel caso di lotte interne al partito o di battibecchi tra fazioni che formano una coalizione. Molti partiti hanno deputati senza incarichi che si mostrano polemici e potrebbero non seguire la leadership del tutto. Spesso le coalizioni sono matrimoni di comodo con scarsa convergenza ideologica, la ricetta perfetta perché non avvenga nulla sul fronte legislativo. Alcuni sostengono che lo stallo ostacoli riforme necessarie, il che è vero in alcuni paesi, ma secondo noi sono rare le riforme che non generano vincitori e perdenti. In economie più competitive, come la maggior parte di quelle sviluppate, invece, in genere non sono necessarie grandi riforme. Un basso rischio legislativo riduce l’incertezza ed è positivo per le azioni. Se, infatti, non è altamente probabile che si verifichi un cambiamento radicale, siamo del parere che gli investitori abbiano un problema in meno di cui preoccuparsi. In genere, le leggi annacquate che riescono a farsi approvare con difficoltà differiscono dalle proposte iniziali.

Nel considerare la politica, pensiamo che sia corretto andare oltre i preconcetti e concentrarsi invece sull'impatto probabile del governo su diritti di proprietà, investimenti e il corretto funzionamento dei mercati dei capitali. I mercati si muovono principalmente nel divario tra realtà e aspettative. Se le riforme introducono rischi sottovalutati, i titoli potrebbero affrontare degli ostacoli, ma se l’impatto delle nuove politiche è più limitato del previsto, il sollievo potrebbe rivelarsi positivo per i mercati azionari. Allo stesso modo, anche se l'impatto sembra più benefico rispetto a quanto raccontato dai media, l’effetto potrebbe essere positivo. In fin dei conti, pensiamo che ciò che conta non siano i partiti o gli uomini politici ma le loro azioni e come queste ultime si rapportano con le aspettative. 

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[i] Fonte: Global Financial Data, Inc., al 17/01/2018. Rendimento medio annuo dell’S&P 500 durante presidenze democratiche e repubblicane in USD, 1926 – 2017. Le eventuali fluttuazioni di cambio tra dollaro ed euro possono portare a rendimenti maggiori o inferiori.

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