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Opinioni di Fisher Investments Italia in merito all’influenza della politica sui mercati

aprile21

Nota: le riflessioni politiche di Fisher Investments Italia sono deliberatamente imparziali. Non abbiamo preferenze per un partito o un esponente politico e valutiamo gli sviluppi politici unicamente in funzione del loro potenziale impatto sull’economia e sui mercati.

Quando si avvicina una nuova tornata elettorale, a prescindere dal Paese, Fisher Investments Italia legge numerosi commenti secondo i quali i risultati saranno decisivi per i mercati. Gran parte di essi si concentra sulle personalità dei candidati principali e si basa su pregiudizi tradizionali che raffigurano alcuni partiti come intrinsecamente positivi per i mercati, al contrario di altri. L’abbiamo osservato nel caso delle elezioni statunitensi dello scorso anno e ora nel racconto della stampa finanziaria delle elezioni europee di quest’anno. Tuttavia, a nostro avviso, viene omesso un elemento fondamentale, che rischia di fuorviare gli investitori: ai mercati non interessano i politici, ma le politiche e quanto gli eventuali cambiamenti si rivelino migliori o peggiori delle previsioni generali.

La lunga storia dei rendimenti dei mercati azionari statunitensi ne è la dimostrazione migliore in quanto ci permette di valutare i rendimenti nell’anno delle elezioni e nel primo anno di 24 cicli presidenziali. Secondo le nostre ricerche, l’anno elettorale è di norma il periodo in cui i mercati percepiscono le speranze o le paure per il prossimo presidente, mentre il primo anno di presidenza è quello in cui, solitamente, emerge la realtà. In base alla nostra esperienza, circa due terzi degli investitori USA propendono per i Repubblicani e temono che i presidenti Democratici attuino politiche di contrasto al mercato azionario. Di conseguenza, negli anni elettorali in cui vince un Repubblicano, riteniamo che le grandi aspettative facciano salire i rendimenti annui medi del 15,2%.[i] Tuttavia, negli anni in cui vince un Democratico, pensiamo che le paure facciano scendere i rendimenti medi ad appena il 7,4%[ii] (il 2020 è escluso dall’analisi, poiché il dato su Joe Biden non può includere il primo anno di mandato e ciò rischierebbe di alterare i risultati).

Nel primo anno riteniamo comunque che emerga la realtà: tutti i presidenti, indipendentemente dal partito, sono semplicemente dei politici. In generale, devono infatti trattare e smorzare gli impegni fondamentali della compagna allo scopo di fare approvare le relative leggi e molti impegni significativi non si traducono sempre in leggi effettive. Ciò spiega perché i rendimenti medi nel primo anno dei presidenti Repubblicani siano solo del 2,6%: a nostro parere, è una dimostrazione della delusione degli investitori.[iii] Per contro, i rendimenti nel primo anno dei presidenti Democratici salgono al 16,2% e riteniamo che all’origine di questi rendimenti medi elevati vi siano il sollievo e il calo delle incertezze.[iv] Nell’arco di due anni interi, non sembrano comunque esistere differenze sostanziali tra i partiti: i rendimenti medi sono infatti del 18,0% e del 23,4% in caso di vittoria rispettivamente di un Repubblicano e di un Democratico.[v] Riteniamo che la tentazione di interpretare tali dati, per quanto forte, sia inopportuna considerato che la politica è solo uno dei propulsori di mercato. La grande maggioranza dell’attività economica negli Stati Uniti e nei paesi sviluppati europei è condotta nel settore privato e sono pertanto i propulsori economici a essere decisivi.[vi]

Riteniamo comunque che la storia dei rendimenti sotto i vari presidenti suggerisca un elemento fondamentale: i pregiudizi politici spesso non corrispondono alla realtà. La nostra ricerca ha riscontrato che, in tutto il mondo, non esiste un partito politico intrinsecamente positivo o negativo per i mercati. Nessuno ha dimostrato di avere il monopolio delle politiche che favoriscono o penalizzano le società quotate in borsa e l’economia in generale. Per esempio, negli Stati Uniti alcune delle leggi a nostro avviso più sfavorevoli per i mercati azionari sono state bipartisan: si pensi al Tariff Act del 1930, che aumentò notevolmente i dazi determinando pesanti cali degli scambi commerciali, oppure al Sarbanes-Oxley Act del 2002, che inasprì in misura significativa le restrizioni e le normative per le società quotate in borsa. Repubblicani e Democratici hanno incrementato ed eliminato normative e ridotto e aumentato le imposte, in modo sostanzialmente analogo. La nostra analisi della storia britannica porta a risultati simili; abbiamo infatti osservato periodi di rialzi e ribassi delle azioni con i governi sia laburisti che conservatori.[vii]

Pertanto, piuttosto che basare le analisi sul partito politico (o i partiti) al governo, riteniamo che sia più utile accantonare i pregiudizi e riflettere sulle politiche. Pensiamo che i mercati in generale non gradiscano l’incertezza politica, ma apprezzino piuttosto la chiarezza. Sul fronte politico, a nostro avviso, ciò si traduce in mercati azionari relativamente più turbolenti nelle fasi di incertezza elevata. Crediamo pertanto che un governo attivo, a prescindere dal credo ideologico, rappresenti il principale rischio politico per i mercati azionari. Analogamente, pensiamo che il quadro più rialzista sia quello di uno stallo politico, in quanto mantiene il rischio legislativo e l’incertezza a bassi livelli.

Stando alla nostra esperienza, si tratta di un aspetto difficilmente comprensibile per molti investitori perché i pregiudizi politici influenzano il modo di pensare. Molti investitori sostenitori di un partito desiderano comprensibilmente che tale partito attui il programma per cui hanno votato. I politici di norma vendono le loro proposte politiche agli elettori facendo leva sui potenziali vincitori. Tuttavia, in base alla nostra esperienza, tutte le leggi creano vincitori e vinti, mettendo in gioco forze psicologiche. Gli esperti di scienze comportamentali hanno dimostrato che, dinanzi alla prospettiva di guadagni e perdite, il dispiacere provato dai perdenti per la perdita è significativamente maggiore della gioia provata dai vincitori per il guadagno.[viii] Di conseguenza, riteniamo che l’incertezza che può derivare dalle scelte governative possa gravare sul sentiment.

Tuttavia, ciò non si traduce automaticamente in rendimenti negativi, come dimostra la storia dei mercati azionari. A nostro avviso, il fatto che gli investitori in larga parte temano leggi rivoluzionarie e qualunque norma approvata sia mitigata rispetto alle aspettative può costituire una sorpresa abbastanza positiva per i mercati. Lo abbiamo osservato negli Stati Uniti nel 2010, quando durante la presidenza di Barack Obama entrarono in vigore le riforme ampiamente temute del sistema finanziario e della sanità. In entrambi i casi si trattò di leggi di ampia portata, ma non così incisive e radicali come molti politici avevano inizialmente auspicato. Stando ai commenti finanziari pubblicati all’epoca, gli investitori reagirono in generale con apparente sollievo, cosa che a nostro giudizio contribuì ai rendimenti azionari positivi negli USA di quell’anno.[ix]

Secondo Fisher Investments Italia, lo stallo spiega, tra l’altro, perché varie nazioni europee abbiano registrato rendimenti positivi anche quando, negli ultimi anni, i partiti populisti sono entrati al governo. Tra di esse l’Italia, dove la coalizione costituita nel 2017 da due partiti anti-establishment, il Movimento 5 Stelle e la Lega, suscitò allarme tra i commentatori finanziari che seguiamo in tutto il mondo per il timore che il Paese subisse una trasformazione economica radicale e uscisse dall’eurozona. I partner della coalizione trascorsero invece due anni in apparente contrasto, senza concludere nulla e riteniamo che le azioni italiane abbiano beneficiato del calo di incertezza.[x]

Segnali di allarme analoghi emersero nella stampa finanziaria quando a gennaio 2020, in Spagna, il partito populista di sinistra, Podemos, entrò nella coalizione socialdemocratica di centro-sinistra. Anche in questo caso non è successo molto. Il governo ha approvato solo di recente il primo bilancio, in una versione stemperata rispetto alle proposte iniziali. Gli aumenti delle imposte sul reddito sono stati decisamente inferiori a quelli originariamente delineati e il governo ha abbandonato i piani di un’imposta minima sulle società. In prospettiva, sulla scia del superamento della pandemia, riteniamo che ciò dovrebbe consentire all’azionario spagnolo di fruire dei fattori favorevoli derivanti dal calo dell’incertezza a mano a mano che gli investitori si rendono conto della debolezza della coalizione.

Crediamo che questa analisi si applichi a gran parte delle nazioni sviluppate. Nei mercati emergenti, dove gli interventi dello stato nell’economia sono spesso maggiori e i mercati dei capitali sono meno maturi, l’analisi di Fisher Investments Italia suggerisce che i governi riformisti attivi possano rappresentare fattori positivi per i mercati e lo stallo possa dimostrarsi deludente. Riteniamo pertanto che l’analisi dei propulsori politici in tale categoria richieda un approccio molto più sottile. Tuttavia, nei paesi sviluppati di Asia, Europa e Nord America, pensiamo che lo stallo di norma preservi uno status quo che i mercati gestiscono da anni, il che costituisce una preoccupazione in meno per gli investitori.

 

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[i] Fonte: Global Financial Data, al 4/10/2020. Rendimenti totali dell’indice S&P 500, dal 31/12/1925 al31/12/2019. Dati espressi in dollari US. Le fluttuazioni valutarie tra il dollaro e l’euro potrebbero aumentare o diminuire i rendimenti degli investimenti.

[ii] Ibid.

[iii] Ibid.

[iv] Ibid.

[v] Ibid.

[vi] Fonte: FactSet, al 10/02/2021. Dati basati sui contributi pubblici e privati al prodotto interno lordo, o PIL. Il PIL è una stima, elaborata dal governo, della produzione economica.

[vii] Fonte: FactSet, al 10/02/2021. Dati basati sui rendimenti dell’indice FTSE 100.

[viii] “Prospect Theory: An Analysis of Decision Under Risk”, Daniel Kahneman e Amos Tversky, Econometrica, Vol. 47, No. 2 (marzo 1979).

[ix] Fonte: FactSet, al 10/02/2021. Dati basati sul rendimento totale dell’indice S&P 500, dal 31/12/2009 al31/12/2010. Dati espressi in dollari USA. Le fluttuazioni valutarie tra il dollaro e l’euro potrebbero aumentare o diminuire i rendimenti degli investimenti.

[x] Fonte: FactSet, al 10/02/2021. Dati basati sui rendimenti dell’indice MSCI Italy (dividendi netti).


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