Il debito dell'Eurozona: aggregarlo o no? Edizione Coronavirus

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Mentre i paesi si stanno gradualmente riaprendo dopo la quarantena imposta per far fronte al COVID-19, la priorità dei governi sembra spostarsi dalle misure da adottare per contenere il virus alle possibili risposte relative all'impatto economico di tali misure. Nell'Eurozona, alcuni hanno proposto una misura sulla quale si è ampiamente discusso come possibile soluzione: l’aggregazione del debito sovrano (noto anche come collettivizzazione o mutualizzazione del debito), un concetto che spiegheremo più dettagliatamente qui di seguito. Ultimamente, la Germania (contraria da tempo al concetto di condivisione del debito con altri paesi dell'Eurozona) e la Francia hanno annunciato che avrebbero approvato l'emissione di un debito congiunto dell'UE pari a 500 miliardi di euro per aiutare gli stati membri a finanziare le proprie risposte al coronavirus. Mentre l'adesione a questa proposta di tutti gli altri stati membri è ancora incerta, secondo noi sarebbe utile per gli investitori comprendere il dibattito in merito a tale questione politica di lungo termine e vedere perché sia improbabile che sparisca dal tavolo delle trattative, indipendentemente da quale sarà l'evoluzione della situazione attuale.

Mentre si dibatte sul coronabond, come molti hanno chiamato il nuovo ipotetico debito congiunto dell'UE per finanziare le risposte al coronavirus, il concetto di una possibile aggregazione del debito (debt pooling) delle nazioni appartenenti all'Eurozona non è una novità. Al debutto dell'euro nel 1999, la creazione era un progetto non tanto politico quanto economico. Tuttavia, la sua creazione ha imposto dei compromessi, come ad esempio il seguente: mentre i politici erano d'accordo sulla condivisione di una moneta, non lo erano sulla condivisione di introiti fiscali, spese o debito a livello federale. Tuttavia, la maggior parte delle realtà che condividono una moneta unica hanno anche una fiscal transfer union, vale a dire una collettivizzazione del debito, dei proventi delle imposte federali e delle spese. In altre parole, l'Eurozona emetterebbe debito e riscuoterebbe le imposte come una singola entità, per poi ripartire la spesa tra gli stati membri. Ciò consente alle aree con un'economia più robusta di sovvenzionare efficacemente quelle più deboli. Dal momento che nell'Eurozona non vi è alcuna aggregazione del debito, ogni stato membro vende il proprio debito per finanziare il bilancio, pagando degli interessi. 

La percezione dell'affidabilità creditizia di queste nazioni da parte degli investitori tuttavia varia ampiamente, così come i costi degli interessi. Per esempio, i rendimenti del debito di Stato a 10 anni della Germania —che ha un debito relativamente basso corrispondente al 60% del prodotto interno lordo (PIL, una misura governativa della produzione economica), un'eccedenza di bilancio e norme rigorose per la spesa— al 30 aprile sono pari a -0,57%.[i] Alla stessa data, l'Italia, con un rapporto debito/PIL del 135%, doveva pagare l'1,79%.[ii] Chi è favorevole alla collettivizzazione del debito dell'Eurozona sostiene che se una nazione ha avuto problemi a prendere prestiti potrebbe dover affrontare decisioni difficili dovendo scegliere tra il default o l'uscita dall'euro e il rimborso del debito in una moneta locale svalutata.

Questo è esattamente il dibattito tra politici e analisti al quale abbiamo assistito durante la crisi del debito europeo del 2010-2012. A quell'epoca, Grecia e Portogallo hanno dovuto ricorrere a salvataggi, e molti analisti hanno temuto che Spagna e Italia fossero sul punto di fare altrettanto. Il dibattito si è riacceso nel 2015 quando persistevano le preoccupazioni per il debito della Grecia e di Cipro. Dei commentatori finanziari che seguiamo misero in guardia di fronte alla possibilità di una dissoluzione dell'euro nel caso di un default di tali nazioni e di un loro abbandono della moneta comune. La soluzione per cui si battevano alcuni leader dell'Eurozona consisteva in un'aggregazione del debito in eurobond. Il problema è che molti elettori di nazioni fiscalmente più conservatrici, tra cui Germania, Austria e Paesi Bassi, sostenevano che non sarebbe stato giusto dover pagare per paesi più poveri e giudicati fiscalmente irresponsabili. Inoltre, a loro avviso, con il tempo una condivisione del debito avrebbe potuto incoraggiare deficit e debiti ancora maggiori.

La discussione ora si è riaperta. La Commissione Europea (CE) prevede attualmente un calo pari al -7,5% del PIL dell'Eurozona nel 2020, per via della quarantena causata dal coronavirus, con Spagna e Italia che sono stati colpiti più duramente dall'epidemia.[iii] La presidente della CE, Ursula von der Leyen, ha stimato che per l'Eurozona sarà necessario 1 trilione di euro per aiutare a pagare i pacchetti di salvataggio economico mirati a mitigare i disagi provocati dalla disoccupazione, aumentare la spesa sanitaria e aiutare con altri mezzi ad ammortizzare il duro colpo subito.[iv] Secondo le stime della CE, tra aumento del debito e calo della produzione, i rapporti debito/PIL della Spagna e dell'Italia salirebbero rispettivamente al 122% e 161%. Il 25 marzo, pertanto, i leader di nove paesi tra cui Italia e Spagna hanno inviato una lettera alla presidente von der Leyen, asserendo che l'Eurozona dovesse emettere coronabond per incrementare i fondi richiesti in risposta alla crisi e sostenendo che nazioni più indebitate non possono permettersi di reagire al coronavirus senza tali fondi.

A nostro parere, tuttavia, i coronabond non sono realmente così necessari come affermano alcuni, anche per paesi come Italia e Spagna, probabilmente destinati a risentire particolarmente della crisi attuale. Mentre molti analisti finanziari mettono in guardia da un aumento del rapporto debito/PIL elevato di questi due paesi, questi rapporti da soli non significano che vi siano problemi all'orizzonte. Per adempiere ai propri obblighi, i governi non usano il PIL, che sostanzialmente è l'ammontare dei beni e dei servizi prodotti annualmente; usano piuttosto i proventi fiscali. Pertanto, secondo noi, la sostenibilità del debito di Italia e Spagna dipende dalla loro capacità di pagare gli interessi e il capitale dovuto sul debito in circolazione.

Alla fine dell'anno scorso, l'Italia pagava per interessi circa il 12,4% dei proventi fiscali (un minimo pluridecennale), mentre la Spagna pagava il 13,6% dei proventi fiscali.[v] Queste cifre non sono molto lontane dai costi di estinzione del debito statunitensi, che nel 2019 ammontavano al 10,8% dei proventi fiscali.[vi] Sono, invece, molto lontane dagli anni ‘90, quando gli interessi pagati dall'Italia rappresentavano circa il 40% dei proventi fiscali e quelli pagati dalla Spagna il 20%.[vii] Inoltre, con i rendimenti ai minimi storici, non crediamo che il debito accumulato da Italia e Spagna costituisca una crisi pronta a esplodere.

Qualcuno potrebbe sostenere razionalmente che l'aumento dei tassi d'interesse potrebbe far salire i costi degli interessi, rendendo insostenibile il debito. In linea di principio, ciò è vero, ma non lo consideriamo un rischio immediato. Entrambe le nazioni emettono prioritariamente debito a tassi d'interesse fissi. I cambiamenti dei tassi d'interesse pertanto influiscono unicamente sul costo del debito di nuova emissione. Al momento attuale, la scadenza media del debito spagnolo è di otto anni, mentre quella del debito italiano è di sette anni.[viii] Riteniamo pertanto che i rendimenti dei titoli di Stato dovrebbero aumentare significativamente —e mantenere tali livelli per anni— prima che possano insorgere problemi. Nel frattempo, con rendimenti dei titoli di Stato di lungo termine vicini al segmento più basso del loro range storico, entrambe le nazioni sono in grado di rifinanziare il debito in scadenza a tassi più bassi. Il 20 aprile 2010, il Tesoro italiano ha venduto titoli di debito a 10 anni con un tasso d'interesse del 4,00%.[ix] Il Tesoro ha rifinanziato efficacemente tali titoli a tasso fisso in un'asta all'inizio di aprile di nuovi titoli a 10 anni. Il tasso d'interesse era pari all’1,35%, decisamente più basso.[x] Analogamente, il 20 maggio 2010, il Tesoro spagnolo ha venduto titoli di debito a 10 anni con un tasso d'interesse del 4,1%.[xi] Con il debito a 10 anni scambiato attualmente allo 0,82%, la probabilità che la Spagna rifinanzi il debito in scadenza a un tasso più basso di 10 anni fa ci sembra piuttosto elevata.[xii]

Inoltre, a nostro parere, la probabilità di un'impennata dei tassi d'interesse di lungo termine è bassa. La nostra analisi illustra che i tassi d'interesse tendono a muoversi di pari passo con l'inflazione prevista, tenendo conto che in generale gli investitori richiederanno il pagamento di un interesse più elevato per mantenere invariato nel tempo il potere di acquisto qualora prevedano un aumento dei prezzi. Riteniamo che per il futuro prossimo questo scenario sia improbabile. Anche dopo l'ampliamento dello spread tra tassi lunghi e corti a partire dalla fine di febbraio, si tratta tuttavia di uno dei suoi livelli più contenuti da circa dieci anni a questa parte.[xiii] Dalla nostra ricerca risulta come ciò pesi sui prestiti bancari, considerando che in generale le banche si procurano finanziamenti a tassi d'interesse di breve termine e li concedono a tassi di lungo termine, e la differenza tra i due costituisce la base dei loro margini di utile. Quando lo spread è ristretto, gli utili potenziali su nuovi prestiti diminuiscono e, a nostro avviso, ciò scoraggia la concessione di nuovi prestiti. Dato che quasi tutti i componenti di un'ampia offerta di denaro derivano dalla concessione di prestiti, una crescita dell'offerta di denaro può essere rallentata da una crescita debole dei prestiti e la teoria economica ritiene che questa sia la causa primaria dell'inflazione. Fintanto che persistono queste condizioni, siamo propensi a credere che l'inflazione si manterrà modesta.

Non prendiamo alcuna posizione nel dibattito relativo all'opportunità di un'aggregazione del debito dell'Eurozona. Tuttavia, indipendentemente dal fatto che la Francia e la Germania riescano o no a farlo, non è un'azione che ci sembra immediatamente necessaria. Infatti, anche le nazioni più indebitate ci sembrano comunque in grado di estinguere i propri debiti senza assistenza, in particolare fino a che la Banca Centrale Europea continua ad acquistare debito sovrano di lungo termine, continuando a rappresentare l'ultima spiaggia per gli acquisti nel mercato. In qualche modo, ciò sembra prevalentemente un'estensione del dibattito prolungato su come "completare" l'Eurozona intrecciando ulteriormente le finanze delle nazioni tramite una fiscal transfer union. Comunque finisca il dibattito specifico relativo alle obbligazioni per il coronavirus, siamo pienamente convinti che potrà riaccendersi quando nell'Eurozona arriverà la prossima recessione.

 

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[i] Fonte: FactSet, dati al 18/05/2020.

[ii] Ibid.

 

 


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