Blue economy, un modello di sviluppo sostenibile in crescita

Le attività economiche legate a oceani, mari, fiumi e coste rappresentano un asset strategico per un’Unione Europea sostenibile



Forum per la finanza sostenibile, 06 Apr 2020 - 09:55

Con il termine “blue economy” si fa riferimento a un modello di sviluppo economico sostenibile, orientato a rivoluzionare l’attuale sistema produttivo azzerando le emissioni inquinanti e a valorizzare il ruolo strategico delle risorse idriche.

L’idea è stata sviluppata nel 2010 dall’economista belga Gunter Pauli, che si è ispirato al concetto di biomimesi: attraverso lo studio e l’imitazione dei processi biologici e biomeccanici, è possibile immaginare un modello di produzione e consumo basato su innovazione, recupero e riutilizzo dei materiali in sinergia con l’ecosistema acquatico, attraverso la valorizzazione di oceani, mari, fiumi e coste.

Secondo la Commissione Europea[1], le attività economiche blue hanno registrato un utile lordo di €74,3 miliardi nel 2017, dando occupazione a 4 milioni di persone, 500.00 in più rispetto al 2011. Il contributo dell'economia blu dell'UE, rispetto al totale, è stato quasi del 2% in termini di occupazione e dell'1,3% in termini di valore aggiunto lordo, con variazioni considerevoli tra gli Stati membri.

La blue economy si propone come evoluzione della green economy: se quest’ultima punta a ridurre le emissioni inquinanti, l’economia blu si pone l’obiettivo di azzerare le emissioni nocive per il pianeta attraverso un utilizzo più efficace delle risorse. Il nuovo modello, infatti, implica investimenti in innovazione tecnologica, trasformazione e riuso dei prodotti.

Oceani, mari, laghi e fiumi ricoprono un ruolo chiave nel blue thinking, in quanto risorsa strategica da tutelare e preservare per uno sviluppo sostenibile. Sono infatti numerosi i settori coinvolti dalla blue economy: oltre alla pesca e all’acquacoltura, si pensi al turismo costiero, al trasporto commerciale, alle industrie emergenti legate alle biotecnologie acquatiche e all’energia marina – come quella derivata da turbine eoliche o da moti ondosi e maree. Negli ultimi anni la blue economy ha mostrato la sua resilienza rispetto alle crisi finanziarie, riuscendo anche a mitigare parzialmente gli effetti della recessione sulle economie costiere.

Gli stati che si affacciano sul mare sono per loro natura i soggetti maggiormente coinvolti dalla “trasformazione blu”. In particolare, l’Italia è la terza più grande economia blu d’Europa, con i suoi 8.670 km di coste, e si attesta come capofila per tasso di produttività delle risorse marittime.

Tra gli attori di primo piano del blue thinking si segnala in particolare la Sicilia, che sta sviluppando importanti progetti anche con il sostegno dell’Unione Europea: basti pensare al Distretto della pesca e crescita blu, che coinvolge 16 attori tra Enti Pubblici e di Ricerca, Associazioni di categoria e Consorzi di produttori, impiegando oltre 1.300 lavoratori. Il progetto è riuscito a incrementare la competitività del sistema pesca siciliano in chiave di sostenibilità, proteggendo la biodiversità.

A sottolineare il ruolo sempre più centrale della blue economy, a febbraio 2020 la Commissione europea e il Fondo europeo per gli investimenti hanno lanciato il fondo BlueInvest, con una dotazione di €75 milioni. Lo strumento finanzierà diversi fondi sottostanti finalizzati a sostenere attività economiche e produttive legate alla blue economy. Agirà attraverso la piattaforma BlueInvest con l’obiettivo di stimolare gli investimenti e agevolare l’accesso ai finanziamenti per le imprese, le PMI, le start-up e le scale-up company – vale a dire società innovative che hanno già definito il proprio business e sono pronte a replicarlo.


[1] EU Commission, 2019, The EU Blue Economy Report

 

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