Biodiversità: aumenta l’attenzione della comunità finanziaria

L’84% degli investitori si dice molto preoccupato per la perdita di specie animali e vegetali e il 55% pensa di affrontare in concreto il tema entro la fine del 2022



Forum per la Finanza Sostenibile, 17 Set 2021 - 12:00

Secondo l’ultimo rapporto dell’IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services), il declino degli ecosistemi procede a ritmi senza precedenti. Il 75% degli ambienti terrestri è “gravemente alterato” a causa delle attività umane e fino a un milione di specie (sugli otto milioni esistenti sulla Terra) è a rischio di estinzione. Questi dati non sono solo il segno di un crescente degrado degli ambienti naturali: come ha affermato il presidente IPBES Sir Robert Watson, “stiamo erodendo le fondamenta stesse delle nostre economie”, in termini di qualità della vita, sicurezza alimentare, salute. In effetti, il rischio è l’impossibilità di garantire i servizi ecosistemici fondamentali come la disponibilità di acqua pulita, l’impollinazione alla base dell’agricoltura o la presenza di pesci nei mari. Tali funzioni naturali hanno anche un valore economico rilevante, in quanto sono alla base dell’attività di numerose imprese, operanti in settori che vanno dalla silvicoltura al turismo, fino all’agroalimentare. Indirettamente, dunque, la questione diventa fondamentale anche per gli operatori finanziari che in quelle aziende investono o potrebbero investire. Secondo le stime del World Economic Forum, più della metà del PIL mondiale – 44mila miliardi di dollari – dipende in diversa misura dalla natura. “Il cambiamento ambientale globale mette a rischio quasi 10mila miliardi di dollari entro il 2050 e potrebbe provocare un aumento dei prezzi su larga scala per le principali materie prime come, tra le altre, il legno e il cotone”, ha spiegato il WWF in una recente nota.

Secondo una ricerca realizzata all’inizio del 2021 da Responsible Investor Research e Crédit Suisse, gli operatori finanziari sono consapevoli delle sfide sul fronte della biodiversità, ma queste preoccupazioni devono ancora tradursi in azioni concrete. I prossimi anni saranno decisivi. Se infatti l’84% degli investitori si dice molto preoccupato per la perdita di biodiversità e il 67% dichiara di avere affrontato il tema nella composizione dei portafogli, il 91% degli intervistati non ha ancora stabilito degli obiettivi misurabili in questo ambito e il 72% al momento non ha valutato l’impatto dei propri investimenti sugli ecosistemi. Oltre la metà degli investitori ritiene che la biodiversità sarà, da qui al 2030, uno dei temi principali per la comunità finanziaria e il 55% pensa di affrontare l’argomento entro la fine del 2022. La ricerca mette in luce anche gli ostacoli principali identificati dagli investitori: disponibilità di dati e metriche (70%), difficoltà di valutare adeguatamente il capitale naturale (49%), mancanza di competenze interne sul tema (32%).

Nel 2022, seppur a fronte di numerosi rinvii, la comunità internazionale dovrebbe fissare degli obiettivi al 2030 per la conservazione degli ambienti naturali, nell’ambito della Convenzione sulla biodiversità delle Nazioni Unite. La bozza di accordo, pubblicata a luglio scorso e in questi mesi al centro dei negoziati, evidenzia come questo decennio sia decisivo per stabilizzare le tendenze in atto che stanno portando alla progressiva perdita di specie animali e vegetali, per potersi poi concentrare sul recupero degli ecosistemi tra il 2030 e il 2050. Il documento riporta anche una serie di obiettivi su cui è in corso il confronto tra i 196 Paesi firmatari, tra cui, per esempio, la rimodulazione o l’eliminazione dei sussidi dannosi per la biodiversità. Secondo l’OCSE, ogni anno i governi spendono almeno 500 miliardi di dollari per supportare attività economiche potenzialmente dannose per gli ecosistemi (tra le cinque e le sei volte di più di quanto sia destinato alla salvaguardia della biodiversità). Ridurre questa voce della spesa pubblica avrebbe, secondo il WWF, anche benefici economici: si potrebbero infatti creare 39 milioni di posti di lavoro dirottando le somme usate per i sussidi dannosi verso impieghi con ripercussioni positive per la natura, in grado di migliorare le condizioni in cui si trovano i sistemi naturali.

Un altro obiettivo contenuto nella bozza di accordo prevede l’incremento delle risorse finanziarie per la biodiversità a 200 miliardi di dollari annui. In questa direzione vanno le numerose iniziative di operatori finanziari e imprese per finanziare la biodiversità. A settembre del 2020, per esempio, è stata lanciata la Leaders' Pledge for Nature, a cui aderiscono quasi 90 Paesi (compresa l’Italia) e istituzioni finanziarie come la Banca Mondiale, con l’obiettivo di invertire la tendenza alla perdita di biodiversità entro il 2030. Dalla conferenza One Planet Summit for Biodiversity, che si è tenuta a Parigi a gennaio del 2021, ha preso nuovo impulso il progetto Great Green Wall Accelerator: l’obiettivo è quello di mobilitare 16 miliardi di dollari per recuperare 100 milioni di ettari di terreni degradati nel Sahel, creando 10 milioni di posti di lavoro entro il 2030. Inoltre, secondo quanto riportato dalla testata specializzata in finanza sostenibile Environmental Finance, diversi soggetti stanno lavorando per il lancio dell’iniziativa “Nature Action 100+” che unisce la definizione di obiettivi sulla protezione della natura, a partire da basi scientifiche, con pratiche di engagement collaborativo sul tema della biodiversità, sul modello di Climate Action 100+. Quest’ultima è un’iniziativa di oltre 600 investitori, che puntano a spingere le aziende con elevate emissioni di CO2 a mettere in campo azioni di riduzione rilevanti e rafforzare la disclosure sui temi legati al clima.

Anche le istituzioni europee dedicano grande attenzione al tema della protezione della biodiversità nei diversi provvedimenti che stanno regolando la finanza sostenibile e la rendicontazione delle imprese sui temi di sostenibilità. Gli investimenti in tutela della natura e la valutazione dei rischi legati al degrado degli ecosistemi sono presenti in più punti della nuova Strategia europea per la finanza sostenibile, lanciata lo scorso luglio. Nell'ambito del quadro finanziario pluriennale 2021-2027 e di NextGenerationEU, l'Unione Europea mira a investire 100 miliardi di euro in progetti a sostegno della biodiversità. Individuarli sarà più semplice grazie allo stesso regolamento sulla tassonomia europea. Nel regolamento, tra i sei obiettivi ambientali che concorrono a definire un’attività economica sostenibile, è presente infatti anche “la protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi”. Per questo e altri tre obiettivi della tassonomia (uso sostenibile e protezione delle acque, transizione verso un’economia circolare, prevenzione dell'inquinamento), la Commissione adotterà dei criteri tecnici di selezione nel primo semestre del 2022, che saranno applicati dal 2023. Per promuovere una maggiore disponibilità di informazioni su questi argomenti, inoltre, a giugno scorso è stata lanciata la Taskforce on Nature-related Financial Disclosures, un’iniziativa globale con una trentina di membri. L’obiettivo è duplice: da un lato, validare entro il 2023 un framework per la rendicontazione sui rischi legati alla natura; dall’altro, favorire l’orientamento dei flussi finanziari verso investimenti a impatto naturale positive.

L’attenzione delle istituzioni e organizzazioni impegnate per la tutela degli ambienti naturali è ora rivolta ai negoziati che si svolgono sotto l’egida dell’ONU e che dovrebbero culminare nella sessione in programma tra aprile e maggio 2022. Al pari degli Accordi di Parigi del 2015 sul clima, l’identificazione di obiettivi condivisi sulla biodiversità potrebbe fornire una cornice utilissima in cui far rientrare impegni, piani e strategie dei diversi attori in campo.

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