La Legge di Okun

FTA Online News, Milano, 08 Mar 2013 - 15:11

La legge di Okun prende il nome dall’economista statunitense Arthur Okun (1928-1980) che fu a capo dei consiglieri economici della presidenza USA tra il 1968 e il 1969. Scopo principale della ricerca compiuta da questo economista fu un collegamento tra il Prodotto interno lordo di una nazione, e in particolare degli Stati Uniti, e il suo tasso di disoccupazione. Alla base di questi studi si pose l’intuizione che un lavoratore disoccupato non avrebbe contribuito pro-quota alla formazione del reddito nazionale e che dunque doveva esserci un legame tra il Pil di un Paese e i suoi livelli di disoccupazione. In realtà gli studi statistici condotti non hanno portato a una vera e propria legge, ma a un’evidenza empirica che, soprattutto nel caso americano, conferma un legame tra le due grandezze, ma si dimostra variabile nel tempo e soprattutto in relazione all’economia alla quale fa riferimento.

Una prima scoperta derivante dall’analisi dei dati indica che a una variazione della disoccupazione corrispondente una variazione molto maggiore del Prodotto interno lordo. Per gli Stati Uniti Okun ha stimato un rapporto di 2,5 a 1, un rapporto che però si è rivelato valido solo fino agli anni Sessanta. Secondo alcuni studi la legge di Okun avrebbe una maggiore validità nei casi di disoccupazione elevata, mentre per variazioni minori i suoi risultati sarebbero meno robusti.

Matematicamente la legge di Okun è stata espressa con l’equazione: Ut-U(t-1)=-b (gyt-Tnc)

In questa formula Ut-U(t-1) indica la variazione del tasso di disoccupazione tra il tempo t-1 e il tempo t. Il tasso di disoccupazione è dato dalla percentuale di persone in cerca di occupazione sulla forza lavoro (il numero di persone occupate più il numero di persone in cerca di occupazione).

A ogni variazione del tasso di disoccupazione dovrebbe corrispondere, nel caso che la legge di Okun sia esatta, una variazione della produzione gyt secondo un rapporto preciso -b. Si avrebbe dunque Ut-U(t-1)=-b (gyt). Il rapporto -b ha il segno meno perché si suppone che se la produzione gyt cresce la variazione della disoccupazione debba essere negativa o, al contrario che se diminuisce la disoccupazione la produzione gyt debba aumentare.

In realtà si è notato empiricamente che le variazioni nella produzione per avere degli effetti concreti sulla disoccupazione devono superare una certa soglia chiamata Tnc, ossia Tasso normale di crescita. Questa soglia deriva dal fatto che la forza lavoro (il numero di persone occupate più il numero di persone in cerca di occupazione) e la produttività del lavoro (il prodotto per occupato) tendono a crescere. Se cresce, infatti, il numero di persone in cerca di occupazione (quindi aumenta la disoccupazione) servirà una crescita maggiore della produzione. Se aumenta poi la produttività del lavoro, aumenterà la produzione, ma il tasso di disoccupazione rimarrà invariato perché lo stesso numero di occupati produce semplicemente di più.

Questo porta a creare appunto la soglia Tnc che rappresenta il Tasso normale di crescita che la crescita della produzione dovrà superare per avere effetti sulla disoccupazione. In altri termini non basterà che cresca la produzione gyt ma servirà che risultati positiva la differenza gyt-Tnc, ossia che (gyt –Tnc)>0.

A questo punto non resta che il parametro b detto appunto parametro di Okun. Si tratta purtroppo di un coefficiente che tende a essere compreso tra 0 e 1. Questo significa che a una variazione positiva di (gyt –Tnc), ossia della differenza tra variazione della produzione e tasso normale di crescita, si ha un calo della disoccupazione (nella formula si ricordi si ha -b) meno che proporzionale. In passato negli Stati Uniti si è trovato un valore di 0,4, ossia per ogni crescita di un punto di (gyt –Tnc) la disoccupazione diminuiva di soli 0,4 punti. In Italia, secondo alcuni studi, fra il 1960 e il 2007 il parametro di Okun è stato pari a 0,02.

Il fatto che a un aumento della produzione al netto del tasso normale di crescita non si abbia una eguale diminuzione della disoccupazione deriva dal almeno due fattori. Il primo riguarda la tendenza delle aziende ad assumere personale in maniera meno che proporzionale rispetto alla crescita della produzione. Per evitare di rimanere spiazzate da eventuali cali successivi della produzione le imprese, infatti, si affidano spesso al lavoro straordinario. In certi casi inoltre alcuni uffici non necessitano di grandi variazioni nel numero di occupati all’aumento della produzione (entro certi limiti ovviamente). Un altro fattore deriva dal fatto che una crescita della produzione al netto del tasso normale di crescita denota un miglioramento delle condizioni generali dell’economia che può spingere i soggetti inattivi, ossia coloro che hanno smesso di cercare attivamente lavoro e che non sono conteggiati nella forza lavoro, a cercare un’occupazione. Si ha quindi un aumento del numero di occupati che tenderà a ridurre gli effetti sul tasso di disoccupazione derivanti da una crescita della produzione.


Borsa Italiana non ha responsabilità per il contenuto del sito a cui sta per accedere e non ha responsabilità per le informazioni contenute.

Accedendo a questo link, Borsa Italiana non intende sollecitare acquisti o offerte in alcun paese da parte di nessuno.


Sarai automaticamente diretto al link in cinque secondi.