Bes: l’Istat guarda oltre il Pil

FTA Online News, Milano, 24 Nov 2014 - 10:27

Il dibattito ultradecennale sulla capacità del Pil di rappresentare davvero il benessere dalla popolazione ha prodotto nel tempo una serie di indicatori alternativi capaci di fotografare in maniera più articolata e completa la situazione di una nazione. Appare persino banale la considerazione in base alla quale il prodotto interno lordo di un Paese potrebbe non dire nulla sulla benessere della popolazione. Anche qualora si utilizzasse il Pil pro-capite si dividerebbe semplicemente per il numero di cittadini una ricchezza che nei fatti potrebbe essere molto concentrata in una fetta della popolazione, lasciando il resto nella miseria.
 
L’esigenza è di carattere internazionale e si potrebbe ricordare anche l’iniziativa Beyond GDP (letteralmente “Oltre il Pil”) dell’Unione Europa che cerca proprio di sviluppare indici alternativi di benessere. Anche in Italia l’Istat ha pubblica quest’anno il secondo Rapporto BES 2014. L’acronimo BES sta per Benessere Equo e Sostenibile e rappresenta proprio uno studio condotto su una gamma di fattori che sono ritenuti fondamentali per comprendere il vero livello di benessere di una popolazione.
 
Questo rapporto, oltre al Benessere Economico, analizza i domini dell’Ambiente, della Salute, dell’Istruzione, del Lavoro, delle Relazioni Sociali, della Sicurezza, del Benessere soggettivo, del Paesaggio e del Patrimonio Culturale, della Qualità dei Servizi e della Politica.
 
Per esempio l’ultimo rapporto del Bes (quello del 2014, che però fa riferimento ai dati fino al 2012) indica che la speranza di vita in Italia è la seconda dell’Unione Europea dopo la Svezia con 79,8 anni per gli uomini e la terza per le donne con 84,8 anni (dopo Spagna e Francia). “Un nuovo nato in Italia – spiega il documento - può contare su 59,8 anni di vita in buona salute se maschio e 57,3 se femmina”. Le donne sono quindi più longeve ma trascorrono in media più anni in peggiori condizioni di salute rispetto agli uomini in Italia. Nel 2013 i maggiorenni obesi o in sovrappeso sono il 44,1% della popolazione con forti differenze geografiche, aumenta anche la sedentarietà che pone rischi di malattie cardiovascolari.
 
Sul fronte dell’istruzione l’Italia rimane lontana dalla media Ocse, anche se migliora leggermente: al 2013 il 22,4% della popolazione tra i 30 e i 34 anni ha una formazione universitaria (40% media Ue 27) e solo il 58,2% della popolazione tra i 25 e i 64 anni ha un diploma superiore (74,9% medi Ue 27). Appena il 6,2% delle persone di 25-64 anni dichiara di avere svolto attività di formazione nelle precedenti 4 settimane; è il 21,9% se si considerano i 12 mesi precedenti. Le competenze alfabetiche della popolazione ci danno un punteggio di 250 sotto la media Ocse a 273 punti. Le competenze numeriche ci danno un punteggio di 247 contro i 269 della media Ocse. La scuola d’infanzia rimane un punto di forza nazionale, ma poi le immatricolazioni all’Università continuano a flettere. Allarmante il dato dei Neet, la percentuale di giovani tra 15 e 29 anni che non lavorano e non studiano sul totale dei giovani di quella stessa fascia d’età: è aumentato dal 20,5% del 2009 al 26% nel 2013. C’è inoltre un forte scarto tra Nord e Sud, con una percentuale di Neet del 19% a Nord e del 35,4% a Mezzogiorno. Sui livelli di istruzione le donne consolidano un vantaggio: sono il 27,2% delle 30-34enni contro il 17,7% dei coetanei di sesso maschile.


 
Il fronte dell’occupazione è uno dei più difficili per il Bel Paese: il tasso di occupazione è sceso al 60% tra i 20 e i 64 anni nel 2013 con 2 punti in meno del 2008 e 8,6 punti percentuali in meno della media dell’Unione Europea a 27. Bassa ancora l’occupazione delle donne molto inferiore alla media Ue). Al contrario il tasso di disoccupazione dal suo minimo del 5,2% nell’agosto 2007 è cresciuto al 12,7% nel primo trimestre del 2014, più di un punto percentuale sulla media europea. Cresce l’incertezza e l’irregolarità: le situazioni lavorative irregolari riguardano un lavoratore su dieci e sono più diffuse in agricoltura, nei servizi di formazione e di intrattenimento, nei servizi domestici e di cura (in quest’ultimo caso un occupato su due è irregolare). Si rileva la drammatica situazione di due incidenti di lavoro mortali al giorno nel 2011.
Per il reddito l’Istat registra il reddito disponibile aggiustato che comprende anche il valore dei servizi in natura forniti dalle istituzioni pubbliche e senza fini di lucro: è calcolato come rapporto tra il reddito disponibile delle famiglie e il numero totale dei residenti. Si attesta nel 2013 a 20.678 euro pro-capite, 50 euro in meno del 2012 e oltre 400 euro in meno del 2011. Al netto dei servizi delle istituzioni pubbliche si attesta a 17.675 euro pro-capite nel 2013 contro i 18.063 euro del 2011. Considerando l’inflazione la diminuzione del potere di acquisto tra il 2007 e il 2013 è stata addirittura del 12,7 per cento. Nella crisi la contrazione del reddito per abitante è stata del 4% al Nord, del 2,9% al Centro mentre nel Mezzogiorno il reddito è cresciuto dello 0,1%, considerando, però, che in questo caso il reddito è il 65% di quello delle regioni settentrionali. Nel Nord Italia infatti il reddito medio disponibile al 2012 è di 20.342 euro a persona contro i 13.182 euro del Mezzogiorno e i 18.714 euro del Centro. In Italia il 20% della popolazione con i redditi più alti ha un reddito in media 5,5 volte superiore al 20% della popolazione con i redditi più bassi. Questo rapporto di disuguaglianza è superiore al 5,0 della media europea e al 5,1 del 2008. Il 10% della popolazione controlla il 46,6% della ricchezza (era il 44,3% nel 2008). Per ricchezza si intende in questo caso il patrimonio complessivo di attività reali e finanziarie al netto delle passività finanziarie.
 
L’anno scorso il 22,5% della popolazione ha svolto attività di partecipazioni sociali di vario tipo, escluso il volontariato: si tratta di un forte calo dal 26,9% del 2010. Cresce la presenza nei consigli regionali e nelle società quotate in Borsa delle donne (dal 15,1 al 17,8%) ed è donna un parlamentare su tre. Rimane una sfiducia elevatissima nelle istituzioni: in una scala da 1 a 10 la fiducia nei partiti politici è di 2,2. Al 3,3 la fiducia in media nel Parlamento, a 3,8 la media della fiducia nelle amministrazioni locali. Maggiore, ma insufficiente, la fiducia nel sistema giudiziario, posta a 4,3. I procedimenti civili di cognizione ordinaria di primo e secondo grado giungono a sentenza nel 2012 in media dopo 815 giorni (circa due anni e mezzo) contro i 646 giorni di media del 2004, ma ci sono forti differenze sul territorio tra i 1195 giorni della Basilicata e i 473 del Piemonte.
Nel 2013 calano gli omicidi (in costante calo dal 1991), ma aumentano furti e rapine. Il territorio rimane depredato e poco valorizzato con un tasso di abusivismo edilizio che ha sfiorato il 15% nel 2013 contro i minimi (comunque al 10%) tra 2006 e 2008. I livelli del fenomeno dell’abusivismo edilizio sono contenuti nelle regioni settentrionali: anche qui, tuttavia, l’indice di abusivismo edilizio, che era sceso a 3,2 costruzioni illegali per 100 costruzioni autorizzate nel 2008, è salito fino a raggiungere, nel 2013, quota 5,3 (fa eccezione la Liguria, dove l’indice è circa 3 volte più elevato rispetto alla media della ripartizione: 15,3% nel 2013). Nel Mezzogiorno, la quota di abitazioni illegali, che oscillava invece tra il 20 e il 25% di quelle autorizzate prima del 2008, negli anni della crisi economica esplode fino a superare il 35% nella media ripartizionale, con punte considerevoli in Calabria (dove l’indice di abusivismo sfiora il 70%), in Campania (62%), Molise (circa la metà del costruito legale) e Sicilia (48%).
 
Sebbene sia aumentato leggermente l’anno scorso il verde urbano rimane critica la situazione dei siti contaminati che riguarda tutto il territorio con casi come l’Ilva di Taranto, la Terra dei Fuochi, Gela o Priolo che destano allarme per la salute pubblica. I “Siti di interesse nazionale”, che non sono le aree più belle ma quelle che richiedono le bonifiche più immediate (magari per un pregresso industriale) sono 39 nel 2013 e coprono 161 mila ettari. Il Piemonte ha da solo siti di questo tipo per 96 mila ettari, contro i 1.780 della Compania. Da questo punto di vista però va considerata una riperimetrazione avvenuta proprio nel 2013 e che ha trasferito le competenze dal governo alle regioni riducendo i Sin da 57 a 39 e facendo passare gli ettari da bonificare a carico dello Stato in Campania da 211 mila a 1.780 ettari.
Quanto all’aria tra le città monitorate nel 2012, 16 hanno superato il limite previsto della concentrazione media delle polveri sottili per il PM2,5. Tre quarti di questi comuni, in questo caso, sono capoluoghi del Nord (Monza, Mantova, Venezia, Padova, Rovigo, Piacenza), mentre nel Centro-sud tra i comuni interessati, vi sono, oltre a Frosinone, anche Salerno, Bari e Cagliari.


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