Sourcesense, esperti dell’open source a Piazza Affari
L’ad Bruni ci racconta la società di servizi per l’evoluzione digitale delle grandi imprese
FTA Online News, 04 Mag 2021 - 15:09
“Quando siamo nati, nel 2001, l’approccio open source ai servizi IT era pioneristico e noi abbiamo deciso di fare la cosa più difficile: portare queste nuove soluzioni tecnologiche a clienti top. Vent’anni fa era quasi un’evangelizzazione. Era molto più difficile spiegare ai colossi la competitività delle soluzioni aperte, a codice visibile e modificabile. Così siamo partiti dalla base, dai tecnici, dagli appassionati”. Marco Bruni, presidente, ad e socio fondatore di Sourcesense, ha visto da vicino gli ultimi vent’anni della digitalizzazione delle imprese italiane. La sua è una PMI innovativa della business transformation con uno spiccato approccio open source a quella digitalizzazione ormai irrinunciabile in tutti i settori.
E come avete promosso le vostre soluzioni?
“Siamo entrati nelle community, quegli arcipelaghi di competenze sempre più specializzate che sono oggi il principale polo dell’innovazione. Abbiamo contribuito all’Apache Software Foundation, uno dei maggiori hub mondiali di sviluppo dei software, impiegando fino a 15 committer, che consentivano alle nostre aziende clienti di utilizzare le tecnologie e validarne l’impiego. Abbiamo stretto partnership sempre più importanti con i protagonisti europei dell’open source, abbiamo acquisito competenze e contribuito allo sviluppo del mercato. Nel frattempo il mondo è cambiato, le imprese che finanziavano centri di ricerca hanno trasferito risorse verso le community: si è creato quel sistema di innovazione condivisa che è il fondamento del nostro modello di business, un modello che fa leva sulle competenze. Oggi quasi tutti i vendor, anche quelli di soluzioni proprietarie, distribuiscono soluzioni con una base open source. Da allora l’open source è in costante evoluzione e produce l’innovazione che guida il settore. Ha così gettato le fondamenta del cloud e, attraverso la disponibilità di tecnologia evoluta ed affidabile, ha accelerato la nascita del movimento delle startup”.
Ma in pratica Sourcesense cosa fa?
“Lavoriamo con imprese di grandi dimensioni, assembliamo prodotti open source e calibriamo soluzioni per servizi critici con applicazioni in svariati settori. Abbiamo clienti di primo piano, come TIM, Enel, Poste Italiane, Cerved, Edenred, Banca Mediolanum e, a livello internazionale, il London Stock Exchange, IHS Markit, Zopa Bank. Coltiviamo un alto tasso di fidelizzazione e partnership con grandi player mondiali come Red Hat, Atlassian, MongoDB e molti altri. Forniamo consulenza specialistica, sia tecnologica che metodologica e di processo, che spesso è il primo contatto con il cliente. La progettazione di soluzioni cloud native è la nostra attività principale cui affianchiamo la fornitura di sottoscrizioni, ossia la garanzia ai clienti del costante aggiornamento della tecnologia sottostante, una priorità con la rapida evoluzione dei software. Di recente il mercato ci sta chiedendo sempre di più servizi cloud ad alto valore aggiunto, questo è oggi il nostro business principale. Estendendo il nostro contributo dalla progettazione anche all’erogazione, possiamo seguire tutto il ciclo di vita del servizio ed essere più vicini ai nostri clienti ed aiutarli a competere sul loro mercato. I servizi cloud sono sempre più importanti per le aziende perché permettono di risparmiare sui rilevanti costi di acquisto e manutenzione di software, hardware e infrastrutture. Regalano in cambio flessibilità, sicurezza e un aggiornamento costante. Infine ci sono le enterprise app, che vendiamo attraverso i marketplace per l’ambito corporate: è un business che abbiamo sviluppato solo di recente, ma già annoveriamo circa 700 clienti nel mondo”.
E tutte queste cose sono open source?
“Assolutamente sì. Siamo convinti che oggi l’innovazione sia per forza condivisione. Nessun operatore può immaginare ormai di creare in ambito IT qualcosa di valido da zero. Sarebbe anti-economico e inefficiente, fuori dal mercato. L’evoluzione dell’IT si nutre di una ricerca condivisa costante: anche Microsoft, inizialmente strenuo sostenitore del software proprietario, oggi è diventato uno dei maggiori contributor di software open source al mondo. Le barriere non hanno più senso, perché le community abbattono i costi di ricerca, sottopongono a test costanti i prodotti, garantiscono un’evoluzione rapida e controllata. Per questo offriamo soluzioni aperte, non c’è vendor lock-in perché chiunque abbia le competenze può integrarli e modificarli. Competiamo sulla conoscenza, ci confrontiamo costantemente con il mercato: le nostre soluzioni cloud native devono essere scalabili, resilienti e affidabili. Ovviamente per noi che abbiamo assemblato una soluzione è molto più facile ed economico aggiornarla o integrarla”.
Come siete approdati a Piazza Affari? Perché nell’agosto del 2020, esattamente a metà fra prima e seconda ondata della pandemia? Cosa farete dei 3,5 milioni di euro raccolti? È stato difficile apprendere il linguaggio dei mercati?
“La quotazione è stata la tappa di un percorso di crescita che continua. Nel 2017 siamo entrati nel programma Elite, una palestra cui ci siamo iscritti quasi per caso, su sponsorizzazione di una nostra banca partner che ci ha suggerito questo percorso. Nel 2018 abbiamo effettuato l’assessment previsto dal programma. Siamo intervenuti sui sistemi di gestione, un giro di vite, ma senza strappi: eravamo già abbastanza strutturati. A gennaio 2020 abbiamo iniziato il processo di quotazione, a marzo è arrivato il lockdown, ma il business non ne ha risentito; abbiamo deciso di non fermarci e ad agosto ci siamo quotati. Nella tragedia della pandemia si sono accese anche delle opportunità nel nostro comparto. La digitalizzazione ha registrato un’accelerazione importante e ci trova ben posizionati. Le risorse della quotazione, promossa integralmente in aumento di capitale, saranno impiegate nella crescita. Consolideremo i mercati presidiati, punteremo all’espansione geografica e internazionale, cresceremo anche per linee esterne. Il successo dell’IPO e i successivi rialzi del titolo confermano che il mercato ha compreso le nostre ambizioni. Lo status di società quotata regala inoltre visibilità e credibilità”.
Nel 2020 il valore della produzione è balzato dell’11% a 17,2 milioni di euro, con un ebitda a 2,1 mln (24%). La PFN è positiva per 2 mln, grazie anche alla quotazione. Ci sono gli estremi per un ulteriore sviluppo. Voi impiegate già circa 140 persone e avete annunciato nuovi investimenti in capitale umano. La crescita a due cifre del 2020 sarà sostenibile anche nel futuro?
“Siamo in crescita a due cifre, anno su anno, dal 2015 e la necessità di evoluzione dei servizi digitali nelle aziende è sempre più forte. Passi avanti ne sono stati fatti ma la strada è ancora lunga. Nel 2020 abbiamo visto che il mercato c’è, siamo convinti che ci sarà anche in futuro. L’Italia si sta digitalizzando e cresce la domanda dei nostri servizi. Puntiamo molto sull’estero, i successi della nostra filiale di Londra ci incoraggiano a sondare nuovi mercati, anche con una campagna di scouting. Ci stiamo riorganizzando internamente. Stiamo adeguando la gestione del circolante alle esigenze della crescita. Sarà a due cifre? Difficile prometterlo in questa fase di pandemia, ma pensiamo che lo sarà e ci stiamo lavorando”.