Orsero, la crescita passa dal mercato
La fusione con Glenalta ha rafforzato il colosso dell’ortofrutta
05 Dic 2017 - 09:30
Crescita e solidità finanziaria: sono questi i punti di riferimento della strategia di Orsero, un colosso storico e nuovo al tempo stesso della logistica e della distribuzione di ortofrutta in Italia e in Europa. La società è sbarcata sul mercato AIM Italia lo scorso 13 febbraio 2017 tramite la fusione con la Spac Glenalta, ma la sua storia risale al Secondo dopoguerra e spiega anche l’evoluzione di un’intera industria.
“Nella seconda metà degli anni Quaranta – spiega l’amministratore delegato di Orsero Matteo Colombini - il gruppo si occupava di distribuzione su base locale in Liguria, ma negli anni Settanta registrò un primo salto dimensionale sviluppando le prime campagne di frutta contro stagione. Non esistevano ancora i container refrigerati, ma solo piccole navi frigo, le potenzialità del mercato e la solidità della domanda però promettevano molto e stava nascendo quello che sarebbe diventato il core business della nostra società. La stagionalità delle produzioni e i limiti dei trasporti ponevano comunque dei vincoli che portarono al secondo grande cambiamento che riguarda le banane, fondamentali in questo settore per due motivi: innanzitutto perché sono senza particolare stagionalità, poi perché sono il primo prodotto per volume nel comparto ortofrutta. Orsero ne avvia l’importazione nel 1975 e sigla un importante accordo commerciale con Del Monte. Il gruppo cresce e si diversifica in vari mercati e in vari settori, acquisendo altre società della distribuzione e non solo”.
Nel 2012 però la situazione cambia…
“Orsero allora si chiamava GF Group, trasformato in una vera e propria multinazionale sotto la guida del Cavalier Raffaello Orsero, scomparso nel 2006. Del Monte negli anni vede diversi azionisti di riferimento succedersi e l’ultima proprietà decide di cambiare tutto: si concentra su Asia e Stati Uniti, riduce la presenza del marchio in Europa e rompe i contratti d’agenzia nel Vecchio Continente, anche con GF Group. La società italiana però ha già un nome e un’intera catena logistica di proprietà che spazia da alcune produzioni sudamericane alla flotta navale, dai magazzini di maturazione alle sale di lavorazione del prodotto, così Orsero decide di inventare il proprio marchio e crea una rete di una ventina di fornitori in Centro-America assicurandosi stabilità e qualità degli approvvigionamenti sui prodotti banane e ananas”.
In quegli anni comincia un percorso di ristrutturazione che passerà anche dalla Borsa: cosa succede?
“All’inizio degli anni duemila Orsero fatturava più di un miliardo di euro, ma aveva un debito in crescita che raggiungerà pochi anni dopo i 400 milioni di euro. Soprattutto gli investimenti erano stati fatti in troppe direzioni e andavano a discapito di un core business – quello della logistica e della distribuzione – fondamentalmente sano. Orsero aveva dei terminal portuali, produzioni argentine di pere e mele, portafogli di immobili in Liguria e investimenti anche in Alitalia. Nel 2015 la società firma con le banche un accordo di ristrutturazione che prevede un aumento di capitale importante da parte dei Soci di riferimento (circa 15 milioni di euro), stand still e riscadenziamento del debito. Viene avviata una nuova strategia di rifocalizzazione sul core business che passerà dalla vendita delle attività portuali e retro-portuali di Savona, delle partecipazioni in società di trasporto via terra, delle quote di Alitalia. Proventi per circa 40 milioni di euro portano i primi flussi anche agli istituti di credito. Nel 2015 Orsero torna all’utile, ma deve ancora ridurre il debito e cedere asset non strategici in Argentina e nel settore Aviation”.
E’ in questo contesto che studiate eventuali partnership e l’apertura del capitale?
“Il gruppo si stava consolidando, ma serviva una crescita dimensionale per difenderlo in un mercato sempre più concentrato e competitivo. Furono valutati private equity e partner industriali, ma alla fine la Spac Glenalta, promossa anche da Luca Giacometti e Gino Lugli che oggi siedono nel board, si rivelò l’opzione migliore e ci portò, con la fusione, alla quotazione. Abbiamo raccolto con l’operazione circa 75 milioni di euro dei quali ben 50 milioni sono andati nell’aumento di capitale e 25 sono serviti a ridisegnare gli accordi con le banche”.
Nel frattempo è stato condotto un percorso di managerializzazione della governance…
“E’ un percorso che viene da lontano. Oggi la società ha tre amministratori delegati che la gestiscono in maniera collegiale. Io sono entrato nel 2015 come CFO, dopo aver seguito la ristrutturazione con Bain & Company; c’è la vicepresidente e azionista Raffaella Orsero e l’ex ad di Chiquita Italia Paolo Prudenziati. Ognuno fornisce il proprio apporto alla squadra con le proprie competenze, ma Orsero ha imparato da anni il linguaggio della finanza e una gestione moderna del business”.
I risultati del primo semestre mostrano un balzo dei ricavi da 337 a 473 milioni di euro. L’utile netto è passato da 11,3 a oltre 20 milioni di euro e la posizione finanziaria netta negativa per circa 76 milioni di euro è più che bilanciata da un patrimonio di poco inferiore ai 150 milioni. Adesso?
“Proseguiremo nella crescita, anche per linee esterne, e nel consolidamento finanziario. L’aumento del fatturato è dovuto a un’acquisizione in Spagna e a due in Italia. Ci consolidiamo nei mercati e nei settori dove siamo più forti. Abbiamo due divisioni principali, quella di import & shipping e quella di distribuzione. La crescente attenzione per quest’ultima ci garantisce una maggiore stabilità e una migliore remunerazione del capitale investito. L’obiettivo è un fatturato da un miliardo di euro nel 2018 e un rapporto posizione finanziaria netta/ebitda sotto 3x senza sacrifici per la crescita grazie alla buona generazione di cassa. Nel nostro settore siamo i primi in Italia e Portogallo, abbiamo posizioni di leadership in Francia e Spagna e vogliamo rafforzare il nostro ruolo in Europa. Il potenziamento del nostro solido core business sarà ancora un volta la nostra bussola”.