MAPS, Big Data a Piazza Affari
Il fondatore Marco Ciscato ci racconta la sua versione della Digital Transformation
FTA Online News, 27 Mar 2019 - 10:00
“MAPS nasce dall’idea di aiutare le aziende a gestire in maniera evoluta la crescente mole di dati a loro disposizione per trarne uno strumento che consenta loro di decidere al meglio. Una gestione moderna d’impresa oggi passa necessariamente da una analisi evoluta e funzionale dei dati. Noi ci poniamo su questo percorso e incoraggiamo così nel settore sanitario, nel campo delle utility, delle telecomunicazioni e in altri ancora quel processo di digitalizzazione che riteniamo essere uno dei trend principali in atto”. Marco Ciscato, fondatore e azionista di peso di MAPS, vede chiaramente nel percorso ormai quasi ventennale della società di Parma il dispiegarsi di un progetto coerente. L’ingegnere informatico che lavora con i big data ha creato MAPS con i fratelli nel 2001 dopo aver fatto esperienza nel settore, quindi ha aggregato altri esperti che sono diventati soci del gruppo e ha puntato ancora sulla competenza manageriale con un MBA. Il gruppo nel frattempo si è articolato e sviluppato aggregando altre realtà, come IG Consulting e Memelabs operanti nel settore dei software per l’analisi e la gestione di dati.
“Dai servizi alle utility siamo passati a un settore per noi molto promettente, quello della pubblica amministrazione e della sanità. L’Healthcare è presidiato con la nostra Maps Heathcare che ha aggregato lo scorso anno Artèxe, una società che ci arricchisce di competenze e attività nel campo del “patient journey”, ossia quell’ambito dei servizi al paziente (dalla gestione delle liste di attesa, alle prenotazioni etc.) che ci mancava e per il quale vediamo grandi potenzialità.
Nel settore sanitario gestiamo flussi informativi importanti e, grazie per esempio alla nostra algoritmica semantica, riusciamo a valutare l’appropriatezza delle prescrizioni, sulla base dei protocolli previsti, della storia clinica dei pazienti, anche in termini di tempistica delle stesse e relativa urgenza. In questo ambito come negli altri, siamo abituati a lavorare sulle soluzioni, a rispondere ad esigenze specifiche dei clienti, in questo caso in genere strutture cliniche o ASL. Non siamo fornitori generici di tecnologia, ma ambiamo a produrre soluzioni concrete per problemi precisi”.
Qualche altro esempio delle vostre attività?
“Con un primario operatore di telecomunicazioni abbiamo una collaborazione rilevante, gestiamo i dati dei clienti, organizziamo sistemi di pagamento, billing, customer management e altre attività ancora.
Abbiamo lavorato anche con una utility a un progetto pilota sulle smart grid: è stato riprodotto in piccolo tutto il rapporto consumatori-produttori-rete, un micro-sistema che evidenzia l’importanza di un corretto interfacciamento tra produttore energetico e rete”.
I vostri dati di bilancio confermano una crescita sostenuta: i ricavi pro forma (comprensivi di Artexe) pari a 14,7 milioni di euro nel 2017 sono passati a 16,7 milioni di euro nel 2018 e l’ebitda da 1,9 milioni si è portato a 3,6 milioni di euro. Questo ritmo è sostenibile?
“Ci sentiamo ottimisti. Proveniamo da anni di crescita importante, organica e per linee esterne, ma siamo convinti che il nostro mercato e il nostro business abbiano ancora molto da dire. Abbiamo sviluppato nel tempo un approccio al mercato più efficace. Operiamo nel campo della Digital Transformation per la quale la maggior parte degli analisti si attende un CAGR dell’ordine del 15-20 per cento. Infine puntiamo sugli effetti positivi, anche di immagine, della quotazione…”.
La quotazione di qualche giorno fa in effetti ha visto una domanda pari a cinque volte l’offerta, quindi un’accoglienza decisamente positiva del mercato. Avevate già a fine 2017 un patrimonio superiore a 3 milioni di euro e cassa per circa mezzo milione: come mai la decisione di aprire il capitale e affrontare la sfida dei mercati finanziari?
“Con l’IPO abbiamo raccolto 3 milioni di euro, risorse importanti per noi da destinare alla crescita, sia per lo sviluppo delle nostre soluzioni, sia per acquisizioni. Nella decisione di quotarci però hanno pesato anche altre considerazioni. Lo status di quotata ci garantisce un nuovo atout nei confronti dei clienti e del mercato. La trasparenza di una public company su vari fronti ci fornisce una maggiore credibilità e visibilità che è in linea con la nostra visione del business”.
E’ stato difficile apprendere il linguaggio dei mercati? Ho notato che avete deciso di adottare un cda con 5 amministratori di cui 2 indipendenti, uno in più di quanto prescritto per la quotazione sull’AIM. Avete inoltre inserito in statuto l’adozione del voto di lista esercitabile con una rappresentanza del 2,5% e avete rafforzato il sistema di controllo interno.
“Puntiamo ad essere una vera public company e facciamo della trasparenza e della compliance con le best practices un fattore di crescita e di competizione, non vediamo nelle regole soltanto un male necessario. Certo in pochi mesi abbiamo fatto un grande sforzo, abbiamo adottato la contabilità IFRS, ci siamo interfacciati – con riscontri positivi – con i diversi soggetti che entrano in gioco durante una quotazione, dal Nomad al global coordinator, ma è stato un impegno che credo ci abbia fatto crescere. La credibilità e lo standing che ci deriva dallo status di società quotata valgono bene qualche spesa in più: è un altro investimento nel nostro futuro”.