GHC, il primo colosso degli ospedali a Piazza Affari
L’ad Maria Garofalo ci racconta la storia del Gruppo e le sue sfide
FTA Online News, 10 Giu 2020 - 11:12
“Puntiamo a uscire da questa sfida più forti di prima”. Maria Laura Garofalo, amministratrice delegata e socia di riferimento del gruppo Garofalo Health Care (GHC), guida una delle maggiori realtà private sanitarie d’Italia e l’unica quotata a Piazza Affari. Un colosso da 24 strutture, oltre 1.400 posti letto e circa 2.300 persone, attivo in 7 regioni, dal Lazio al Piemonte, dal Veneto all’Emilia Romagna, dalla Toscana alla Liguria e al Friuli Venezia Giulia.
“GHC trae origine da un gruppo fondato nel 57’ a Roma da mio padre Raffaele Garofalo, chirurgo generale e dai suoi due fratelli minori, anch’essi medici. Un gruppo che negli anni ‘80 è diventato uno dei principali gruppi della sanità privata convenzionata della Regione Lazio, focalizzato quasi esclusivamente nel comparto della degenza ospedaliera per pazienti acuti.
Nei primi anni ‘90 ho iniziato a collaborare con la realtà aziendale di famiglia e nel 1998 ho costituito insieme ai membri della seconda generazione una nuova holding, completamente separata da quella storica e con questa, insieme a mio padre, ho avviato un progetto di crescita per linee esterne, caratterizzato dalla diversificazione geografica e di comparto.
Nel 1999 abbiamo infatti acquisito una prima struttura al di fuori della Regione Lazio, l’Eremo di Miazzina a Verbania in Piemonte, una struttura non più dedicata alla cura dei pazienti acuti, bensì destinata alla riabilitazione e all’assistenza socio-assistenziale. Con questa prima operazione abbiamo dato avvio al processo e una dopo l’altra sono state acquisite tutte le altre strutture che oggi rientrano nel perimetro di GHC.
Attualmente, non solo siamo l’unico gruppo quotato in Italia nel settore della sanità, ma siamo anche l’unica realtà nazionale ed internazionale che ha adottato un modello di business unico, fondato sulla diversificazione non solo geografica, ma anche di comparto; cosicché oggi copriamo l’intera filiera assistenziale, dai centri diagnostici, alle strutture per acuti a quelle di riabilitazione e alle RSA”.
E’ in questo contesto che si inserisce la decisione di aprire il capitale con la quotazione a Piazza Affari a fine 2018? Il prezzo di collocamento a 3,34 euro si è posto nella parte bassa della forchetta: ha deluso le aspettative? O vi siete consolati con i successivi rialzi (oggi il titolo vale 4,8 euro e in passato ha toccato anche i 6,03)? Cosa avete fatto dei 74 milioni raccolti?
“La decisione di quotarci a Piazza Affari è stata inserita nella nostra politica di crescita incoraggiata a sua volta da diversi fattori favorevoli. C’è stata però anche la voglia di confrontare il gruppo con il mercato e la trasparenza che impone; una sfida che ci ha premiato con un’ottima domanda. Noi abbiamo promosso un’IPO tutta in aumento di capitale, i nostri consulenti ci hanno suggerito un prezzo in qualche modo “a sconto”, che, in ogni caso ci ha aiutato ad ottenere una quotazione di successo in un periodo estremamente difficile per i mercati e specialmente per il mercato italiano. Per noi l’obiettivo fondamentale era arrivare in Borsa e devo dire che alla fine il coraggio e la determinazione ci hanno premiato e nel tempo il nostro valore è comunque emerso.
Con le risorse abbiamo finanziato l’acquisto di 6 strutture in 6 mesi, una campagna acquisti che continuerà perché la sanità privata in Italia può crescere quasi esclusivamente per linee esterne, essendo l’attività organica contingentata nell’ambito di budget di fatturato attribuiti dalle Regioni alle singole strutture. Tutto ciò che viene erogato dalle stesse oltre i suddetti budget non viene remunerato dal sistema; ovviamente, se un paziente è a rischio noi lo assistiamo sempre e comunque, anche in assenza di remunerazione. La nostra mission è questa: noi curiamo la gente.
La sanità privata è però un settore molto complesso e inoltre, a 40 anni dalla nascita del Servizio Sanitario Nazionale, registra diversi passaggi generazionali, che spesso mettono sul mercato realtà anche pregevoli. La crescita dimensionale favorisce inoltre diverse sinergie, anche sul fronte delle forniture e dei processi, ma richiede una managerializzazione e capacità gestionali non alla portata di tutti.
Oggi circa un quarto della sanità italiana è privato, è una media molto più bassa che nel resto d’Europa e parliamo, come ho detto, di strutture a budget che rappresentano pertanto per le regioni una spesa ben contingentata (a differenza degli ospedali pubblici). Mi preme, inoltre, sottolineare che il nostro Sistema Sanitario è universalistico e considerato uno dei migliori al mondo, in un Paese che spende circa il 7% del Pil in sanità contro l’11% di Francia e Germania o il 17% degli Stati Uniti (dati della Banca Mondiale al 2017)”.
Sul ruolo della sanità privata si è molto discusso durante questa pandemia, a voi come è andata?
“La verità è che il contributo del privato è stato essenziale per fronteggiare la pandemia ed è stata un’occasione per dimostrare l’ottima integrazione tra pubblico e privato che di fatto rappresentano due facce della stessa medaglia, con la differenza che il privato costa un terzo. Noi, nel nostro piccolo, abbiamo collaborato con tutte le nostre strutture al contrasto della pandemia. La Casa di Cura Prof. Nobili, Rugani Hospital e l’Eremo di Miazzina hanno aperto reparti dedicati Covid per i pazienti usciti dalla fase acuta ma ancora positivi al virus (con 30, 20 e 32 posti letto rispettivamente). L’Eremo di Miazzina ha dedicato altri 15 posti letto ai pazienti “post-Covid”, cioè negativi al primo tampone, ma in attesa di ulteriori accertamenti. L’Hesperia Hospital di Modena ha collaborato con il Policlinico di Modena e l'Azienda USL per gli interventi chirurgici oncologici non procrastinabili con 30 posti letto, sale operatorie, l’uso della terapia intensiva, il proprio personale. Gli Ospedali Privati Riuniti di Bologna hanno messo a disposizione dell’Ospedale Sant'Orsola-Malpighi e dell'Ospedale Maggiore di Bologna 40 posti letto e 4 sale operatorie, il Poliambulatorio Dalla Rosa Prati di Parma ha istituito locali specifici per l’accoglienza del Day Hospital oncologico dell’ospedale di Parma. La Casa di Cura Villa Berica di Vicenza ha, infine, fornito all'Ospedale San Bortolo ventilatori polmonari ed assistenza infermieristica per la terapia intensiva”.
Nella seconda metà di marzo però sono stati gradualmente bloccati tutti gli interventi con l’eccezione di quelli urgenti o non procrastinabili (quelli insomma da effettuare entro 10 giorni). Il vostro primo trimestre già ne risente con ricavi in calo del 13,8% a 50 milioni e un operating Ebitda adjusted a 8 milioni (-13,4%). Avete dunque subito anche voi un impatto economico, come andrà nei prossimi mesi?
“Nel corso del mese di maggio è stata gradualmente interrotta la sospensione e sono ripartite anche le attività assistenziali programmabili, quindi, anche se abbiamo registrato un blocco per metà del mese di marzo e per tutto il mese di aprile, ci stiamo già riavviando alla piena operatività. In un contesto mutato, ma in cui la domanda è aumentata in maniera molto evidente, tantoché ipotizziamo un mese di agosto con un’affluenza decisamente superiore alla media stagionale.
Ovviamente abbiamo sopportato dei costi per l’adeguamento delle strutture, la formazione del personale, l’adozione dei protocolli, ma tanti ne abbiamo risparmiati con la sospensione dell’attività; risparmi il cui impatto sarà pienamente visibile a partire dal mese di aprile. Siamo, tra l’altro, convinti di potere recuperare gran parte della produzione nella seconda parte dell’anno, in quanto le nostre strutture, operando nell’ambito dei suddetti tetti di fatturato, non hanno mai espresso la loro piena capacità produttiva. Non nascondo, inoltre, che ci incoraggiano i notevoli investimenti in sanità promossi dal governo. Va infatti ricordato che con il 3,5 miliardi di euro del primo Decreto Cura Italia e con i 3,25 mld del Decreto Rilancio si registra per la prima volta nella storia della sanità italiana una integrazione così consistente della Fondo Sanitario Nazionale. Va ricordato che da Monti in poi il Fondo era stato tagliato di circa 37 miliardi di euro, con recuperi solo graduali nel tempo”.
Nel 2019 avete registrato un balzo dei ricavi da 155,6 a 222,5 milioni di euro (dati pro-forma per tenere conto delle numerose acquisizioni) e un operating ebitda adjusted da 44,4 milioni (+49,1% il pro-forma). La posizione finanziaria netta è però passata da una cassa di 27,7 milioni a un saldo negativo per 94,7 milioni di euro. Hanno certamente influito le acquisizioni e, con un patrimonio netto da 192 milioni di euro, avete una situazione comunque molto solida (leverage a 2,1x), ma potrete crescere ancora in future?
“Sicuramente: le nuove acquisizioni portano anche ebitda, siamo inoltre diventati sempre più bravi nell’integrazione e nell’efficientamento delle nuove realtà acquisite. Lo facciamo da anni e non compriamo a caso perché puntiamo a target le cui performance economiche e finanziarie, anche potenziali, sono accrescitive e non diluitive rispetto a quelle espresse dalle strutture già presenti portafoglio. Comunque ci siamo posti il limite di un leverage che non deve superare quota 3x, un rapporto ancora lusinghiero per molte realtà del nostro settore. Va inoltre considerato che abbiamo la proprietà del 97% delle nostre strutture i cui valori immobiliari sono iscritti in bilancio ai costi storici, quindi riteniamo di avere ancora molte risorse a disposizione per crescere”.