Alkemy, la trasformazione digitale diventa strategica

L’amministratore delegato Duccio Vitali ci racconta le sfide del settore



FTA Online News, 06 Apr 2020 - 18:30

“Quando siamo nati nel 2012 la rivoluzione digitale era ancora agli albori e le sue tecnologie erano un accessorio del modello operativo delle imprese più avanzate. Nel tempo, però, l’innovazione è diventata un fattore sempre più decisivo, capace di modificare l’intero business model delle società. Noi da subito ci siamo confrontati con i top manager per guidarli in quel percorso di digitalizzazione che è diventato un fattore competitivo indispensabile per ogni impresa. La tecnologia che prima era solo un’area delegata ai settori IT, oggi coinvolge tutte le aree operative dalla catena di produzione alla logistica, dalla distribuzione al front-end con clienti, all’analisi dei dati e al loro impiego. Ogni giorno si presentano nuove sfide e opportunità per le quali Alkemy appronta una competenza e un’esperienza a 360 gradi. Un modello di consulenza completa che è anche il nostro fattore distintivo e fa leva sul valore delle nostre circa 700 persone, sulla nostra visione globale dell’innovazione tecnologica in atto e che ci ha permesso di crescere a un tasso medio del 42% nei nostri sette anni di sviluppo ininterrotto”. Duccio Vitali, amministratore delegato e azionista di Alkemy, ha una visione chiara delle sfide che una società di trasformazione digitale delle imprese ha davanti.

Ma in pratica in cosa si distingue il vostro business da quello degli altri competitor del settore?
“Il nostro punto di forza è la capacità di operare a tutti i livelli della catena di valore, di offrire soluzioni chiavi in mano complete alle aziende che accettano la sfida della digitalizzazione. Le medie e grandi imprese altrimenti devono rivolgersi a un consulente per la strategia generale, a una società tecnologica per l’implementazione delle soluzioni progettate, ad altri soggetti per gli altri aspetti del business. Noi abbiamo un’offerta completa che è anche la chiave del nostro successo. Per questo negli anni abbiamo promosso una serie di operazioni di M&A che ha avuto l’obiettivo di portare in azienda competenze ed esperienze capaci di arricchirci e completarci costantemente. Negli anni abbiamo acquisito società di consulenza, integratori di sistemi, società di analisi dei dati, con questa visione. In questo contesto si inserisce l’ingresso nel nostro perimetro di Nunatac nel 2018 (data & analytics) e di Design Group Italia nel 2019 (design di prodotti e di spazi).

Ed esattamente che servizi fornite ai vostri clienti? Ci fa qualche esempio?
“La nascita di Coop Alleanza 3.0, il colosso italiano della grande distribuzione organizzata, ha spinto da subito il gruppo a ragionare sullo sviluppo di un progetto di e-commerce. Noi li abbiamo assistiti nel processo complesso che gli ha permesso di strutturare questo aspetto del loro business in maniera coerente. In una sfida di questo tipo gli interrogativi che si pongono sono numerosi. Bisognava modificare la logistica? Quali competenze servivano per gestire il nuovo canale di offerta? Quali tecnologie? In che modo si poteva arricchire il brand senza penalizzarlo? Come completare il business senza danneggiare il canale fisico di distribuzione? Come ottenere il massimo dal sito internet in termini di user experience? Ovviamente rispondere a questi quesiti significava ragionare su tutta la strategia del business e una competenza a 360 gradi come la nostra poteva fare la differenza in tutte le fasi, dall’impostazione del processo, all’execution, alla manutenzione, all’analisi dei dati. La digitalizzazione si dimostra così un fattore strategico. Oggi nel nostro giro d’affari la revisione strategica occupa appena 10%, ma è una leva indispensabile per lo sviluppo futuro del settore e delle nostre attività”.

La trasformazione digitale oggi impegna tutti i settori economici. Il vostro è un punto di vista privilegiato. Cosa percepite dal mondo delle imprese italiane e come vivono questa rivoluzione rispetto ad altre realtà internazionali?
La trasformazione digitale – ci spiega il presidente di Alkemy Alessandro Mattiacci - vive in generale tre fasi: la prima vede l’innovazione tecnologica come un fattore ancora lontano e poco rilevante; nella seconda fase l’impresa comincia a lavorare con il digitale, ma ne fa un surplus che non modifica essenzialmente il suo modo di essere e operare; nella terza fase l’impostazione digitale pervade il business e diventa un fattore di trasformazione profonda. E’ un processo che in varia misura si registra in tutte le economie avanzate: il Regno Unito e gli Stati Uniti sono all’avanguardia nel mondo. Poi vengono alcuni Paesi del Nord Europa, come la Germania. In Francia e in Italia siamo ancora un po’ indietro, ma stiamo procedendo su questa strada. La nostra presenza in Spagna, in Messico e nei Balcani ci consente però anche di avere altre prospettive. In Messico, per esempio, abbiamo trovato una popolazione più giovane e propensa all’innovazione e al pieno e persino “anarchico” impiego dei canali digitali. Al punto che la diffusione di Uber nel Paese ha in pratica rivoluzionato la mobilità del Paese.
Il cambiamento in atto è una rivoluzione guidata dalle esigenze del consumatore e quindi quello messicano per noi può diventare un caso guida, un esempio di manifestazione compiuta dei trend ancora agli albori in altri mercati. Il cambiamento però attraversa agilmente anche i vari settori. Oggi i direttori al retail delle banche vengono da noi a chiederci cosa fanno colossi come Walmart o Google, la contaminazione delle strategie digitali è in qualche maniera il main stream”.

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A fine 2017 voi soci avete messo sul mercato quasi la metà del capitale di Alkemy, una quota rilevante. Avete raccolto 32,7 milioni di euro con un prezzo di collocamento di 11,75 euro. I corsi hanno subito dei contraccolpi nell’ultimo anno e oggi il titolo tratta nell’intorno dei 4,2 euro, con una capitalizzazione complessiva di circa 23,6 milioni. Le azioni hanno subito soprattutto un calo in occasione del passaggio su MTA e del relativo prospetto, quando il gruppo ha approvato un nuovo piano industriale che teneva conto della rinegoziazione dei contratti di due dei principali clienti italiani e della perdita di un altro importante cliente. L’impatto era di circa 8,1 milioni di euro, più del 10% del fatturato dell’anno 2018. Come mai nel 2017 avete scelto di quotarvi? E’ stato difficile apprendere il linguaggio dei mercati? Può raccontarci come è andata poi lo scorso dicembre 2019?
“Alkemy – ci spiega Duccio Vitali – ha sempre avuto una vocazione da public company e ha fatto della trasparenza una delle direttive del proprio operato. La quotazione è stata per noi la strada migliore per ottenere le risorse necessarie all’acquisizione di nuove competenze, mantenendo il controllo dell’azienda, garantendone l’indipendenza e quindi la possibilità di perpetrare la vision. C’è un patto di sindacato, ma nessuno controlla la società e 150 manager hanno il 40% circa delle azioni: è una governance di una modernità poco comune nel nostro Paese. Come ho detto, la crescita, anche per linee esterne, è sempre stata una nostra strategia, per questo abbiamo deciso di aprire il capitale al mercato, forti anche delle nostre competenze pregresse nel campo della consulenza professionale. Abbiamo ritenuto che la quotazione fosse la scelta più corretta per noi e che potesse portarci vantaggi significativi anche in termini di governance, eravamo pronti a farlo. Così abbiamo portato a termine l’operazione che ha permesso di raccogliere 18 milioni in aumento di capitale e ha consentito l’exit di un nostro socio. E’ stata un’altra sfida che ci ha fatto crescere. Il passo successivo è stato quello del salto sull’MTA, in linea con i nostri progetti. Purtroppo nello stesso periodo due clienti, che ancora sono con noi, hanno deciso di spostare alcune risorse del budget dal 2019 al 2020, mentre un’altra azienda ha chiuso in Messico. Degli effetti di queste novità abbiamo dovuto rendere conto al mercato, in termini ancora sommari, subendo delle penalizzazioni in Borsa. Si è trattato però di un accidente del business, come inevitabilmente avviene anche nell’ambito di un percorso di crescita importante che ancora continua. In questi anni abbiamo infatti portato il giro d’affari dai 42 milioni del 2017 agli oltre 84,5 milioni di euro del 2019 e cresceremo ancora. Riteniamo ancora penalizzati i nostri corsi di Borsa, ma siamo sicuri che la solidità del nostro business e dei nostri fondamentali riusciranno a esprimersi anche sul mercato”.

Nel 2019 avete registrato un balzo del 18% del fatturato a 84,5 milioni di euro, anche grazie all’allargamento del perimetro operativo. L’ebitda adjusted ha però mostrato una flessione del 19% a 5 milioni di euro, senza tenere conto dei costi del passaggio allo STAR e di altri costi straordinari del personale che comprimerebbero questa voce, insieme agli effetti dell’IFRS 16, a 2,5 milioni di euro. Complessivamente chiudete il 2019 con una lieve perdita di circa 200 mila euro, a fronte di utili da 3,4 milioni nel 2018. Mostrate poi una PFN negativa per 19,2 milioni (10,7 mln nel 2018) a fronte, però, di un solido patrimonio netto da 31,7 milioni di euro che vi consentirebbe ancora ampio margine di investimento e di crescita per linee esterne. Noto anche un avviamento da circa 31,7 milioni. Sostanzialmente mi sembrate attrezzati per un’ulteriore crescita dei volumi, è un’analisi corretta?
“Noi abbiamo per certi versi una marginalità più bassa del mercato, perché cresciamo in generale più del mercato. La nostra forza è il continuo investimento nelle persone e nelle competenze: talvolta può penalizzare la redditività, ma nel medio periodo è il segreto del nostro approccio competitivo vincente, che si basa su un’offerta sempre più completa. Il nostro obiettivo è dunque quello di accrescere ancora il numero di grandi clienti, che ci permettono sia di dispiegare le nostre competenze progettuali ed esecutive, che di rafforzare la nostra resilienza. Molte delle imprese che abbiamo integrato sono cresciute di 2,5/3 volte con noi. Queste capacità richiedono investimenti, che sono però anche la leva della crescita futura. Sul fronte della posizione finanziaria, va evidenziato che abbiamo sempre promosso le nostre acquisizioni con delle opzioni put/call che ci hanno imposto dei consolidamenti in bilancio delle relative passività. Sui nostri avviamenti conduciamo annualmente degli impairment test che ci confermano la nostra impostazione”.

Come state vivendo la terribile sfida del Covid-19? E cosa registrate della reazione del mercato e dei vostri clienti?
“Essendo una società digitale eravamo già ampiamente attrezzati per l’home working e per le altre contromisure che queste circostanze richiedono, anche negli altri Paesi in cui operiamo. Abbiamo dunque reagito con prontezza ed efficienza alla situazione. Chiaramente sul mercato vediamo impatti importanti per molti operatori e, posto che la sfida sanitaria nazionale e internazionale rimane la nostra principale preoccupazione, intravediamo anche delle opportunità per chi, come noi, può aiutare le imprese ad affrontare la sfida. Nelle prime due settimane della crisi abbiamo calcolato un balzo del 20% a/a delle visite sui siti di e-commerce e una crescita dell’80% delle vendite online. Per moltissimi operatori potenziare o sviluppare i canali digitali di vendita è in queste tragiche circostanze una grande occasione e persino una necessità. Noi abbiamo tutte le competenze e l’esperienza per fornire un supporto importante a questo processo di trasformazione profonda. Questa crisi cambierà radicalmente diversi modelli di business e interi settori: Alkemy potrà dare un contributo importante a quelle imprese che sapranno cogliere la sfida”.


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