Il Moltiplicatore Fiscale

La relazione tra il prodotto interno lordo di un Paese e le politiche fiscali



FTA Online News, Milano, 03 Mag 2013 - 15:24

Il moltiplicatore fiscale è uno degli strumenti teorici più discussi dell’ultimo secolo e rappresenta il tentativo di indagare la relazione tra il prodotto interno lordo di un Paese e le politiche fiscali di un determinato governo. Si tratta quindi di uno strumento potenzialmente molto importante per l’indirizzamento delle politiche fiscali di una nazione: in tempi di austerità fiscale non poteva che ritornare d’attualità.

L’economista John Maynard Keynes postulava che il moltiplicatore fiscale fosse tipicamente superiore a 1 e che quindi a ogni aumento delle tasse o riduzione delle imposte di 1 euro dovesse corrispondere un calo del Prodotto interno lordo complessivamente superiore a 1 euro. Nel corso dei decenni altri economisti si sono opposti a queste ipotesi e hanno affermato che in determinate condizioni un "alleggerimento" dello Stato (quindi della spesa pubblica) poteva dare spazio ai privati e aiutare il rilancio dell’economia. Alcuni autori hanno perciò ipotizzato che il moltiplicatore fiscale potesse essere in determinate condizioni inferiore a uno, come dimostrato dai casi della Danimarca negli anni 1983-1984 e dell’Irlanda 1987-1989.

Dalla teoria si è però facilmente passati alla pratica. Nel suo report Global Prospects and Policies dell’ottobre 2012 il Fondo monetario internazionale ammise degli errori nelle stime sui moltiplicatori fiscali applicati nelle proiezioni sul Pil di 28 economie esaminate. Si tratta di proiezioni sulla crescita del Prodotto interno lordo di diverse nazioni molte delle quali sottoposte a un delicato processo di consolidamento fiscale. L’ipotesi iniziale di moltiplicatori fiscali intorno allo 0,5, ossia di un effetto dell’incremento delle imposte e dei tagli alla spesa pubblica smorzato nei suoi effetti sul Pil, veniva smentita dai dati successivi.

In pratica le successive misurazioni indicavano che i moltiplicatori si erano attestati tra 0,9 e 1,7 e che quindi avevano spesso abbondantemente superato l’unità. In altri termini le politiche di rigore applicate nell’Eurozona avevano avuto un impatto superiore alle attese sulla crescita del Pil dei Paesi colpiti, con danni maggiori delle previsioni sulle loro economie. La cura rischiava di rivelarsi un male peggiore e ovviamente questo si trasformava facilmente in un duro giudizio politico sulle politiche di austerità.

Un report successivo dello stesso Fondo Monetario Internazionale a firma degli autorevoli economisti Olivier Blanchard e Daniel Leigh analizza le cause di queste pesanti deviazioni dalle stime sulla crescita del Pil. L’evidenza empirica dei dati ha dimostrato che i moltiplicatori fiscali in questione possono variare anche notevolmente in situazioni di crisi dell’economia. Dai calcoli risulta che le componenti del Pil legate alla disoccupazione e al declino dei consumi privati e degli investimenti sono state sottostimate, ossia gli interventi hanno generato più danni del previsto. Nello studio si precisa che gli effetti superiori alle attese sui moltiplicatori fiscali di breve termine non dovrebbero avere implicazioni automatiche sulle politiche fiscali. Queste conseguenze sono solo una parte della serie di fattori da tenere in considerazione quando si progettano degli interventi fiscali in un’economia nazionale.

Qualcuno però a ottobre del 2012 ricordava che la Corte dei Conti italiana, in un’audizione alle Commissioni di Bilancio riunite di Camera e Senato, ribadiva i propri timori sugli effetti recessivi delle manovre di consolidamento fiscale in Italia. "Per il 2012 la flessione del Pil è stimata al 2,4 per cento (1,2 nel DEF di aprile), ma sorprende soprattutto – sottolineava la Corte - la diminuzione dell’1% del prodotto anche in termini nominali; un risultato eccezionalmente negativo che, storicamente, si era verificato solo nel 2009, l'anno centrale della ‘Grande Recessione’".


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